Salute 4 Aprile 2025 09:54

Demenza, allo studio un test del sangue che predice la malattia con 10 anni di anticipo

Il lavoro si è basato sull'analisi di biomarcatori del sangue di oltre 2.100 adulti di età pari o superiore a 60 anni. Tutti i partecipanti sono stati seguiti nel tempo per determinare se avessero sviluppato demenza
Demenza, allo studio un test del sangue che predice la malattia con 10 anni di anticipo

Chi teme di sviluppare una forma di demenza negli anni avvenire, presto, potrà fugare ogni dubbio. Un team di ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma, in Svezia, ha testato un esame del sangue in grado di escludere il rischio futuro di demenza, tra cui il morbo di Alzheimer. La scoperta è stata descritta in uno studio pubblicato su ‘Nature Medicine‘. La ricerca ha un altissimo contributo made in Italy: sette coautori su 12 sono, infatti, sono italiani all’estero. Per dimostrare come specifici biomarcatori nel sangue siano in grado di predire lo sviluppo della demenza con un decennio di anticipo, gli studiosi hanno esplorato il potenziale di alcuni specifici marker: il tau217 (biomarcatore ematico specifico per la malattia di Alzheimer), il neurofilamento leggero (Nfl – un biomarker della degenerazione soprattutto della regione sottocorticale) e la proteina fibrillare acida della glia (Gfap – una proteina presente in alcune cellule del sistema nervoso e nelle ghiandole salivari).

Studi a confronto

Già alcune ricerche precedenti avevano rivelato l’utilità di questi biomarcatori alla diagnosi precoce della demenza, ma nella maggior parte di questi lavori erano state coinvolte persone già assistite per problemi cognitivi, a seguito della comparsa di alcuni sintomi, tra cui la difficoltà di memoria. Si è rivelato dunque necessario uno studio più ampio per determinare il valore predittivo dei biomarcatori nella popolazione generale. Guidato dai ricercatori dell’Aging Research Center del Karolinska Institutet in collaborazione con SciLifeLab e il Kth Royal Institute of Technology di Stoccolma, il lavoro si è basato sull’analisi di biomarcatori del sangue di oltre 2.100 adulti di età pari o superiore a 60 anni. Tutti i partecipanti sono stati seguiti nel tempo per determinare se avessero sviluppato demenza. Al follow-up effettuato 10 anni dopo il 17% dei partecipanti aveva sviluppato demenza. L’accuratezza dei biomarcatori utilizzati nello studio è risultata dell’83%.

Il commento dei ricercatori

“Si tratta di un risultato incoraggiante – spiega Giulia Grande, assistant professor al Dipartimento Neurobiology, Care Sciences and Society del Karolinska Institutet e prima autrice dello studio – soprattutto considerando la finestra predittiva di 10 anni tra il test e la diagnosi. Dimostra che è possibile identificare in modo affidabile le persone che sviluppano demenza e quelle che rimarranno sane”.
“I nostri risultati implicano che, se una persona ha bassi livelli di questi biomarcatori, il suo rischio di sviluppare demenza nel decennio successivo è minimo – aggiunge Davide Vetrano, professore associato dello stesso dipartimento del Karolinska Institutet e autore senior dello studio -. Questa informazione potrebbe offrire rassicurazione a chi è preoccupato per la propria salute cognitiva, poiché esclude potenzialmente lo sviluppo futuro di demenza”.

I limiti della ricerca

Lo stesso ricercatore invita alla cautela: “Questi biomarcatori sono promettenti, ma al momento non sono adatti come test di screening autonomi per identificare il rischio di demenza nella popolazione generale”, aggiunge Vetrano. Tuttavia, gli scienziati sono fiduciosi nel ritenere che una combinazione dei tre biomarcatori più rilevanti (p-tau217 con Nfl o Gfap) potrà migliorare l’accuratezza predittiva. “Sono necessarie ulteriori ricerche per determinare come questi biomarcatori possano essere utilizzati efficacemente in contesti reali, in particolare fra gli anziani che vivono in comunità o nei servizi di assistenza sanitaria primaria – conclude Grande -. Dobbiamo fare un ulteriore passo avanti e verificare se la combinazione di questi biomarcatori con altre informazioni cliniche, biologiche o funzionali potrebbe migliorare la possibilità che questi biomarcatori vengano utilizzati come strumenti di screening per la popolazione generale”.

 

 

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