Salute 24 Luglio 2023 14:11

Longevità: ecco i cibi che aiutano ad invecchiare bene. E sono anche amici del pianeta

Da cereali integrali a verdure non amidacee, noci e oli insaturi: ecco la dieta rispettosa dell’ambiente associata anche ad una riduzione del 25% del rischio di morte

Longevità: ecco i cibi che aiutano ad invecchiare bene. E sono anche amici del pianeta

Mangiare cibi più sostenibili e rispettosi del pianeta potrebbe aiutare anche a vivere una vita più lunga e più sana, secondo una nuova ricerca. Un team di scienziati svela quali sono proponendo «un nuovo punteggio che incorpora le migliori evidenze scientifiche attuali riguardo agli effetti degli alimenti sia sulla salute che sull’ambiente», spiega Linh Bui, del dipartimento di nutrizione Harvard TH Chan School of Public Health.

Alimenti amici di longevità e pianeta

Gli autori hanno scoperto che le persone che seguivano una dieta più sostenibile dal punto di vista ambientale risultavano avere anche il 25% di probabilità in meno di morire durante un periodo di follow-up di oltre 30 anni rispetto alle persone con una dieta meno sostenibile. Quali sono gli alimenti identificati come amici di longevità e pianeta? Cereali integrali, frutta, verdure non amidacee, noci e oli insaturi, che sono tra l’altro cibi protagonisti della dieta mediterranea. Mentre fra gli alimenti che secondo gli studi potrebbero avere più impatto negativo su ambiente e salute, vengono elencati uova e carni rosse e lavorate, per esempio.

Una dieta “a punti”

«I risultati hanno confermato la nostra ipotesi secondo cui un punteggio di “dieta per la salute del pianeta” più elevato era associato a un minor rischio di mortalità», evidenzia Bui, che ha presentato i risultati a “Nutrition 2023“, incontro dell’American Society for Nutrition. Secondo le prove esistenti, gli alimenti a base vegetale sono associati sia a un minor rischio di malattie croniche come malattie cardiache, cancro del colon-retto, diabete e ictus, sia a impatti ridotti sull’ambiente in termini di fattori come l’uso dell’acqua, l’uso del suolo, l’inquinamento dei nutrienti e le emissioni di gas serra. Con il nuovo studio, i ricercatori miravano a creare uno strumento che i responsabili politici e gli operatori della sanità pubblica potessero utilizzare per sviluppare strategie per migliorare la salute delle popolazioni e affrontare la crisi climatica.

L’analisi

«Un modello alimentare sostenibile – afferma Bui, dottoranda nell’ateneo statunitense – non dovrebbe essere solo salutare, ma anche coerente per quanto riguarda le emissioni di gas serra e altri parametri ambientali». Per creare il loro “Planetary Health Diet Index” (Phdi), i ricercatori hanno esaminato la ricerca esistente sulle relazioni tra vari gruppi di alimenti e i risultati sulla salute basati sulla dieta di riferimento Eat-Lancet che tiene conto degli impatti ambientali delle pratiche di produzione alimentare. Hanno quindi applicato l’indice per analizzare i risultati tra oltre 100mila partecipanti in 2 grandi studi di coorte condotti negli Stati Uniti. Il set di dati includeva oltre 47mila decessi durante un periodo di follow-up che copre oltre tre decenni dal 1986 al 2018.

I punteggi Phdi

Nel complesso, hanno scoperto che le persone nel quintile più alto (il primo quinto dei partecipanti) per Phdi, quindi con il punteggio più alto in fatto di dieta alleata di salute e pianeta, avevano un rischio di morte per qualsiasi causa inferiore del 25% rispetto a quelle nel quintile più basso. Punteggi Phdi più alti sono stati associati a un rischio di morte per cancro o malattie cardiovascolari inferiore del 15%, un rischio inferiore di morte per malattie neurodegenerative del 20% e un rischio inferiore di morte per malattie respiratorie del 50%.

Il futuro della ricerca: quale direzione prendere?

Ulteriori ricerche, fanno notare gli autori, potrebbero aiutare a chiarire eventuali barriere che rendono difficile ad alcune quote di popolazione e gruppi aderire a un modello alimentare sostenibile. «Speriamo che i ricercatori possano adattare questo indice a specifiche culture alimentari e convalidare il modo in cui è associato a malattie croniche e impatti ambientali», conclude Bui.

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