Salute 12 Giugno 2023 16:14

Cancro, cambiare approccio. La psico-oncologa: «Legittimare la paura può darci più energia»

Barberio (Istituto Pascale) commenta i casi Murgia e De Gregorio: «Basta con la narrazione del paziente-guerriero, ma il malato oncologico ha un’arma: sa di non essere eterno e vive di conseguenza. Chi di noi lo fa con la stessa consapevolezza?»

Cancro, cambiare approccio. La psico-oncologa: «Legittimare la paura può darci più energia»

La parola “cancro” non è più un tabù: la sua diagnosi non è più necessariamente una sentenza di morte, di cancro si parla, ne parlano i personaggi pubblici, con un approccio diverso rispetto al passato. Dalle recenti dichiarazioni di Michela Murgia che esprimono consapevolezza sulla propria condizione terminale, a quelle della giornalista Concita De Gregorio, che si mostra senza parrucca e chiede di non essere indentificata con la propria malattia, solo per citare due esempi recenti.

I pazienti oggi sanno che, in molti casi, dal cancro si guarisce, e che comunque hanno a disposizione un ventaglio di opzioni terapeutiche che possono, se non guarire, almeno cronicizzare la malattia, così da avere talvolta un’aspettativa di vita sovrapponibile a quella di chi, nel cancro, non ci si è mai imbattuto.

Ciononostante, il percorso di accettazione della condizione di paziente oncologico, dalla diagnosi in poi, resta difficile e delicato dal punto di vista psicologico ed emotivo, indipendentemente dalla prognosi, ma con diversi livelli di complessità in base a quest’ultima e alle varie fasi della malattia. Sanità Informazione ha intervistato, sulle nuove istanze della psico-oncologia, la dottoressa Daniela Barberio, responsabile della S.S.D Psicologia Oncologica presso l’Istituto Nazionale Tumori “IRCCS Fondazione Pascale” di Napoli.

Legittimare la paura e non forzarsi

«Innanzitutto – esordisce la psicologa – in terapia non esiste una ricetta universale per affrontare la patologia oncologica, perché è l’approccio stesso del paziente ad essere unico e personale. Ci è stato insegnato a sdoganare la parola stessa “cancro”, nell’idea che farlo avrebbe aiutato ad esorcizzarne le relative paure ed angosce. Ma non deve essere per forza così. Se usare quella parola ci fa male, ci fa paura, non usiamola. Il nome che diamo alle cose è il modo che usiamo per viverle».

La malattia come molla per il cambiamento

«Prendiamo spunto dalle recenti dichiarazioni di Michela Murgia e Concita De Gregorio, in un certo senso paradigmatiche. Entrambe – osserva Barberio – hanno dato connotati simili alla loro malattia, reputandola un accadimento che non ferma o limita la loro forza vitale. È vero, oggi grazie alle terapie il cancro sta diventando sempre più una patologia cronicizzabile. Ma questa cronicità non elimina la paura, e la paura stessa può innescare dei cambiamenti positivi. La paura può ridefinire senso e significato della propria vita. Tante persone, durante o dopo la malattia, compiono azioni o prendono decisioni rimandate per troppo tempo: chi si sposa, chi viaggia, perché si innesca una spinta che porta a focalizzarsi maggiormente sulla qualità della vita, piuttosto che sulla sua durata».

La cultura della morte come parte della vita

«La nostra è una società e una cultura ostile all’idea della morte – spiega Barberio – ecco perché il messaggio della Murgia ha avuto così tanto impatto: perché è un inno all’accettazione, all’accoglienza dell’idea della morte come parte della vita, che ci rende capaci di affrontarla in maniera diversa. Durante la malattia non dobbiamo per forza farci vedere combattivi, rispondere alla famosa idea del “guerriero” che una certa narrazione ha affibbiato al paziente oncologico. Non deve essere per forza così. Imparare a convivere con la paura, senza negarla ma al contrario legittimarla, aiuta a non esserne sopraffatti».

Il tempo della malattia e un tempo per la malattia

«Per i pazienti che sono in cura – sottolinea Barberio – ed il cui obiettivo è quindi la guarigione, è importante prendersi il proprio tempo per metabolizzare la malattia, per non identificarsi con essa e non lasciare che gli altri lo facciano. Che è sostanzialmente l’approccio di cui ha riferito Concita De Gregorio, che ha preferito non esternare il proprio percorso fino a che non è stata pronta. Anche il suo mostrarsi in pubblico senza parrucca è stato emblematico del suo percorso di accettazione. Oggi – prosegue –  affidarsi alla scienza ci dà più sicurezza rispetto a pochi anni fa, sappiamo che ci sono varie opzioni terapeutiche da tentare qualora una non sortisse gli effetti sperati, terapie che ci fanno guadagnare tempo, anni. Anche se la paura, è fisiologico, torna costantemente a fare capolino, e va gestita. Il paziente oncologico, rispetto a chi non lo è, acquisisce una maggiore consapevolezza della finitezza dell’esistenza umana, del fatto che, per ognuno di noi, il tempo a disposizione su questa terra non è eterno. Ma mentre chi non si imbatte in prima persona nel cancro è restio a vivere davvero secondo questo concetto, il paziente oncologico no. E questa consapevolezza si esterna oscillando tra la voglia di fare, e la paura. Sta a noi psicologi – conclude Barberio – aiutare i pazienti a ridefinire i contorni della propria vita che la malattia inevitabilmente modifica».

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