Salute 8 Febbraio 2023 10:39

Long Covid: disturbi cognitivi “spia” di malattie neurodegenerative?

Il neurologo Alberto Priori dell’Università Statale di Milano a Sanità Informazione: un accumulo di amiloide, proteina responsabile della degenerazione dei neuroni, nel cervello di pazienti con disturbi cognitivi a un anno dal Covid-19
Long Covid: disturbi cognitivi “spia” di malattie neurodegenerative?

L’infezione da Covid nel tempo può aumentare il rischio di insorgenza di malattie neurodegenerative in presenza di un accumulo abnorme di amiloide nel cervello di pazienti che presentano disturbi cognitivi. A questa conclusione sono giunti i ricercatori dell’Università Statale di Milano, dell’ASST Santi Paolo e Carlo e dell’IRCCS Auxologico in uno studio pubblicato sul Journal of Neurology.  A distanza da un anno dalla sua comparsa, dunque, il Covid fa ancora paura, perché può lasciare tracce sulla memoria e significative alterazioni cognitive a causa di un accumulo di sostanze tossiche in alcune aree del cervello.

Perché la nebbia cognitiva da Covid

Questa ricerca, coordinato dal neurologo Alberto Priori dell’Università Statale di Milano in collaborazione con il centro “Aldo Ravelli” e con un team di psicologi, neurologi e medici nucleari dell’ASST Santi Paolo e Carlo e IRCCS Auxologico, ha preso in esame un numero di pazienti della prima ondata che presentava persistenti disturbi cognitivi, mai lamentati prima, e rilevati da specifici test neuropsicologici. «L’aver avuto il più lungo follow up di pazienti  – spiega Priori a Sanità Informazione – ha agevolato il nostro compito, infatti dopo circa cinque, sei mesi dalla remissione della malattia abbiamo osservato che una certa quota dei pazienti che erano stati intubati o ventilati nella prima fase della pandemia, mostrava ancora nebbia cognitiva e dichiarava di sentirsi rallentato».

Tre aree del cervello interessate dalle alterazioni

Il gruppo di pazienti – uomini e donne  con una età media di circa sessant’anni –  che presentava  disturbi più persistenti è stato esaminato con la metodica di tomografia a emissione di positroni usando come marcatore il glucosio legato ad un isotopo radioattivo, meglio nota come PET. All’esito degli esami, è emerso che in tre su quattro di questi soggetti il cervello presentava delle alterazioni in almeno tre aree: nel lobo temporale, sede elettiva della memoria; nel tronco encefalico, che controlla equilibrio e attenzione; e nel lobo prefrontale che regola l’energia mentale, la motivazione e in parte il comportamento.

Accumulo importate di amiloide

In particolare, l’attenzione degli studiosi si è concentrata su un paziente relativamente giovane e senza una storia di alterazioni cognitive prima dell’infezione da Sars-Cov-2, che presentava sintomi persistenti e un quadro clinico più alterato.  Sottoposto a PET con tracciante per amiloide ha evidenziato un accumulo di questa proteina “spazzatura” nel cervello, ritenuta responsabile della degenerazione dei neuroni. «Un quadro clinico di invecchiamento neurologico precoce che si riscontra di solito nei pazienti con la malattia di Alzheimer – sottolinea il coordinatore dello studio – e che, in questo caso, ha interessato un soggetto a seguito dell’infezione da Covid».

L’infezione da Covid  può aumentare il rischio di malattie neurodegenerative

L’aumento abnorme di amiloide riscontrata per la prima volta in un paziente reduce dal Covid ha portato i ricercatori ad ipotizzare una correlazione tra l’infezione da Sars-Cov-2 e la cascata neurodegenerativa. «Tre le ipotesi avanzate al termine dello studio: una situazione latente già presente nel soggetto se pur asintomatico, un effetto del virus sul sistema nervoso centrale, oppure questa infezione innesca una importante infiammazione che sappiamo essere un acceleratore dell’invecchiamento del cervello – ammette Priori -. A questo punto il puzzle inizia a definirsi: di sicuro oltre ad una predisposizione genetica, il virus può indurre alterazioni di tipo cognitivo o motorio a carattere neurodegenerativo».

L’importanza dello screening

Alla luce dei risultati ottenuti dallo studio tutto italiano di Università di Milano, ASST Santi Paolo e Carlo e IRCCS Auxologico è evidente  che l’ipotesi di un monitoraggio su larga scala permetterebbe di evidenziare i soggetti a rischio. «I pazienti che hanno contratto il Covid e a distanza di un anno lamentano ancora disturbi cognitivi dovrebbero sottoporsi ad uno screening con una valutazione di tipo cognitivo e test strumentali diagnostici – fa notare il neurologo – questo permetterebbe di intervenire precocemente e ritardare il più possibile l’insorgenza della malattia».

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