“Normalmente vediamo solo la punta dell’iceberg”. Ne è convinto Federico Gobbi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia dell’IRCCS Ospedale Sacro cuore Don Calabria di Negrar che, in una video intervista circolata sui canali social dell’ospedale, parla del virus West Nile. Per l’infettivologo la punta, in questo caso, nasconde una massa ben più ampia: secondo Gobbi, infatti, il numero reale di infezioni da virus West Nile attualmente in Italia potrebbe superare quota 10mila. “Ma la maggior parte sono asintomatiche”, precisa. La stima si basa sul numero di decessi registrati nei primi mesi dell’estate 2025 e sul comportamento noto dell’infezione.
Il West Nile, infatti, colpisce in modo molto diseguale. “Se le zanzare infette pungono 150 persone, una sola sviluppa una forma grave di meningo-encefalite, una trentina presenta sintomi simil-influenzali e tutte le altre non manifestano nulla”, spiega Gobbi. Il virus resta quindi, per molti, invisibile. Ma non per questo meno pericoloso. “Purtroppo – osserva – se aumentano le infezioni, aumentano anche i casi gravi e i decessi. Perché il 10-15% delle forme neuro-invasive ha esito letale. Significa un decesso ogni 1.000-1.500 infetti”.
Nonostante il basso rischio per gli asintomatici, esistono implicazioni di salute pubblica. “Chi non ha sintomi può comunque rappresentare un problema se dona sangue o organi – chiarisce – ma le sacche sono testate, e la trasmissione è controllata”. E aggiunge un punto cruciale: “Una persona infetta non può trasmettere il virus a una zanzara sana. Il ciclo si mantiene solo se la zanzara punge un uccello infetto“.
Dal 2008 il West Nile è endemico in Italia e ogni estate mostra un volto diverso. “Nel 2022, in Veneto, abbiamo contato 500 casi, di cui 150 evoluti in meningo-encefaliti e 22 decessi”, ricorda Gobbi. L’andamento è imprevedibile. “Non sappiamo quale sarà il target colpito e con che intensità: possiamo solo continuare a monitorare”, afferma.
Senza vaccini né terapie specifiche, la difesa è tutta nelle mani della prevenzione. “Repellenti, indumenti lunghi, zanzariere ed eliminazione dei ristagni d’acqua restano fondamentali”, raccomanda Gobbi. Ma non basta: “Serve l’intervento delle istituzioni con disinfestazioni mirate e campagne informative”. Infine, l’appello ai colleghi: “La classe medica deve essere preparata a riconoscere una possibile arbovirosi, soprattutto in presenza di febbre inspiegabile nei mesi estivi. Solo così possiamo intercettare precocemente i casi gravi e agire con tempestività”.
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