In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la SIMG richiama l’attenzione sul ruolo dei medici di famiglia come presidio precoce di intercettazione
La violenza sulle donne spesso non inizia con un’aggressione fisica evidente. Le prime crepe posso rivelarsi nei luoghi di vita quotidiana, come gli ambulatori dei medici di famiglia, dove la relazione può rivelare ciò che altrove rimane sommerso. È lì che si manifestano i primi segnali: un racconto esitante, una ferita spiegata male, un dolore ricorrente senza causa apparente. In un contesto nazionale in cui, dall’inizio del 2025, almeno 78 donne sono state uccise, la SIMG invita ad allargare lo sguardo. “La violenza non comincia con l’omicidio”, ricordano dalla Società, sottolineando come proprio la medicina di famiglia sia oggi una delle porte d’accesso più precoci per intercettare la sofferenza invisibile.
Il MMG come primo osservatorio sulla violenza sommersa
La prossimità e la continuità assistenziale fanno del medico di famiglia una figura particolarmente esposta ai segnali precoci della violenza. L’OMS parla di minaccia per la salute pubblica e la Medicina Generale ne incrocia spesso le conseguenze, fisiche e psicologiche. “I medici di famiglia non vedono solo i sintomi, ma anche le storie – spiega Camilla Mandatori, Medico di Medicina Generale e membro SIMG -. I segnali non sono sempre eclatanti: una paziente che si presenta sempre accompagnata e lascia al partner la gestione del colloquio, uno sguardo che sfugge, risposte esitanti, un atteggiamento di paura”. Mandatori ricorda come agli indicatori relazionali si sommino quelli clinici: contusioni giustificate in modo incoerente, ematomi in diverse fasi di guarigione, disturbi ricorrenti come cefalee, dolori addominali o capogiri per i quali non emerge una causa organica. Anche insonnia, depressione, abuso di psicofarmaci o un tono dell’umore instabile possono rappresentare campanelli d’allarme. “Presi da soli non significano nulla”, chiarisce, “ma insieme costruiscono un quadro che deve far nascere un sospetto. E quel sospetto può cambiare la vita di una donna”.
Formazione, rete e ascolto: le nuove responsabilità dei medici di famiglia
Per Alessandro Rossi, Presidente SIMG, il ruolo del medico di famiglia deve evolvere ulteriormente. “I MMG devono imparare a chiedere di più, con competenza e cautela. La crescente presenza femminile nella professione crea contesti di maggiore confidenza, ma la formazione resta centrale”. Riconoscere i segnali, impostare una conversazione senza mettere in pericolo la paziente, conoscere i percorsi di protezione disponibili sul territorio e collaborare con centri antiviolenza, consultori e servizi sociali sono, secondo Rossi, aspetti cruciali di un cambiamento già in corso. “La violenza sulle donne è un fenomeno ancora sommerso. Il medico di famiglia è uno dei pochi professionisti che può intercettarne lo strato invisibile e rendere l’ambulatorio un luogo sicuro, in cui la donna possa trovare un primo appoggio”.
La società civile: “Il MMG può essere il primo a vedere ciò che non viene detto”
Il dibattito coinvolge anche il mondo culturale e sociale. All’iniziativa “La voce delle ferite” della Fondazione Artemisia ETS, l’attrice Maria Grazia Cucinotta, da anni impegnata sul tema, ricorda quanto il ruolo dei MMG sia fondamentale: “Il medico di famiglia può individuare da subito un episodio di violenza. Le donne dovrebbero poter denunciare in qualsiasi contesto e l’ambulatorio del MMG è un luogo a cui potrebbero rivolgersi. La paura, però, spesso le paralizza e le porta a sentirsi sole”.
La SIMG ribadisce che un medico di famiglia non è solo un prescrittore di terapie, ma un osservatore privilegiato della vita delle persone. Ed è proprio in questa posizione che può riconoscere ciò che una donna non riesce ancora a raccontare.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato