Salute 9 Dicembre 2025 16:01

Suicidio medicalmente assistito in Italia: tra vuoti normativi, interventi della Consulta e casi che fanno giurisprudenza

Un recente lavoro ricostruisce l’evoluzione giurisprudenziale italiana dopo la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, passando dai casi simbolo: ne emerge un sistema ancora privo di una legge nazionale, segnato da profonde disuguaglianze territoriali e da un costante ricorso ai tribunali da parte dei pazienti

di Isabella Faggiano
Suicidio medicalmente assistito in Italia: tra vuoti normativi, interventi della Consulta e casi che fanno giurisprudenza

In molti Paesi il suicidio medicalmente assistito è regolato da norme che definiscono criteri di accesso, tutele e responsabilità cliniche. In Italia, invece, la disciplina resta sospesa tra la rigidità del Codice penale e il varco aperto dalla Corte Costituzionale con la sentenza 242 del 2019. Da allora, chi aiuta una persona a morire non è punibile solo in presenza di condizioni molto precise. Si tratta di un equilibrio fragile, costruito più per necessità che per scelta politica, e continuamente rimesso alla prova da casi concreti e da interpretazioni giurisprudenziali talvolta divergenti. La Toscana ha provato a introdurre una cornice regolatoria regionale, successivamente impugnata dal Governo, indicando nel frattempo protocolli operativi per governare le richieste. È il segno di una tensione istituzionale che riflette il vuoto legislativo nazionale e il peso crescente delle storie dei pazienti, spesso costretti a rivolgersi ai giudici per ottenere risposte. A fare il punto della situazione sono gli autori dello studio ‘Physician-assisted suicide in Italy: where do we stand and where do we want to go?‘, pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychiatry e firmato da Emanuela Turillazzi e Naomi Iacoponi dell’Università di Pisa, insieme a Donato Morena e Vittorio Fineschi della Sapienza Università di Roma. La ricerca fotografa con precisione un sistema in cui le domande dei pazienti crescono, mentre le risposte fornite dal Servizio sanitario nazionale restano frammentarie e spesso contraddittorie.

Physician-Assisted Suicide, PAS

“Il suicidio medicalmente assistito (Physician-Assisted Suicide, PAS) continua a essere oggetto di dibattito globale e controversia etica, insieme ad altre questioni di fine vita come l’eutanasia, le cure palliative, l’accesso ai servizi sanitari e sociali e, soprattutto, l’autonomia del paziente – scrivono gli autori nell’introduzione dello studio -. In questo contesto, il PAS è definito come la pratica in cui un medico, su esplicita richiesta di un paziente competente, prescrive un farmaco letale che il paziente può auto-somministrarsi per porre fine alla propria vita. Questa definizione distingue chiaramente il PAS dall’eutanasia, in cui è il medico a somministrare direttamente il farmaco che provoca la morte. Nonostante gli sforzi in corso per stabilire una definizione unitaria, persiste una notevole variabilità tra le diverse giurisdizioni in relazione ai criteri di eleggibilità, alle garanzie procedurali e ai quadri giuridici ed etici che regolano il PAS”, aggiungono i ricercatori.

La svolta del 2017-2019: dal caso Dj Fabo alla sentenza 242

La vicenda di Fabiano Antoniani, Dj Fabo, da molti considerata la scintilla del cambiamento, ha aperto una riflessione profonda sulla libertà di scegliere il proprio fine vita. Il procedimento giudiziario nato dopo il suo accompagnamento in Svizzera spinse la Corte Costituzionale a intervenire, prima con l’Ordinanza 207 del 2018, poi con la Sentenza 242 del 2019. La Corte riconobbe che vietare ogni forma di aiuto può opprimere il diritto all’autodeterminazione, e indicò quattro requisiti essenziali per escludere la punibilità. Si tratta di una malattia irreversibile, sofferenze insopportabili, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e capacità piena di assumere decisioni libere e consapevoli. In mancanza di una legge parlamentare, le verifiche furono affidate alle strutture sanitarie pubbliche e ai Comitati etici territoriali.

Il dopo-2019: richieste in aumento e percorsi disomogenei

Negli anni successivi, il sistema si è dimostrato fragile. Le richieste formali di suicidio medicalmente assistito, secondo le associazioni e la letteratura disponibile, hanno raggiunto quota 51 al primo trimestre del 2025. Ma la risposta delle Asl è tutt’altro che uniforme. Le procedure risultano lente, i tempi di valutazione variabili e l’interpretazione dei requisiti oscillante. La difficoltà nel reperire farmaci, nel definire modalità di somministrazione e nel garantire la supervisione etica ha prodotto disparità territoriali profonde. In molte realtà, il percorso è arrivato in tribunale prima ancora di essere avviato. In parallelo, la definizione di “trattamenti di sostegno vitale” è diventata uno dei nodi più discussi. Da essa dipende infatti l’accesso al PAS, ma la sua interpretazione è cambiata nel tempo, spesso guidata dai casi concreti.

I casi che hanno fatto scuola

Il caso di “Mario”

Nel 2022 “Mario”, tetraplegico dopo un incidente, è diventato il primo paziente italiano ad accedere al suicidio medicalmente assistito. Una lunga battaglia giudiziaria ha imposto alla Asl di individuare un farmaco idoneo, portando alla scelta del tiopentale sodico, somministrato tramite infusione azionata autonomamente. Il caso ha definito il ruolo dei Comitati etici e ha chiarito che la valutazione deve includere cure palliative e sedazione profonda.

Il caso di “Anna”

Nel 2023, a Trieste, “Anna” ha ottenuto il suicidio medicalmente assistito con copertura totale da parte del Servizio sanitario nazionale. La sentenza ha stabilito la responsabilità diretta delle aziende sanitarie anche nell’erogazione materiale del trattamento.

L’estensione del concetto di sostegno vitale

Il procedimento riguardante Davide Trentini ha contribuito a ridefinire la nozione di trattamenti di sostegno vitale. Non solo macchinari o alimentazione artificiale, ma anche terapie farmacologiche e interventi assistenziali indispensabili alla sopravvivenza rientrano nel perimetro stabilito dalla Corte. Una visione più ampia, che tiene conto del peso delle dipendenze quotidiane generate da alcune patologie.

Il caso “Massimiliano” e il ritorno alla Consulta

Nel 2024 la Corte d’Appello di Firenze ha rimesso alla Consulta il tema più delicato: la legittimità del requisito della dipendenza da trattamenti vitali. Secondo il giudice rimettente, questo criterio crea disuguaglianze e limita l’autodeterminazione. Nel 2025 la Corte è intervenuta nuovamente, confermando la necessità di un quadro normativo chiaro e aggiornato.

La legge regionale toscana: un tentativo di regolamentazione

Nel 2025 la Toscana ha approvato la prima legge regionale sul fine vita, prevedendo tempi certi, valutazioni multidisciplinari e un passaggio obbligato nei Comitati etici. La legge è stata impugnata dal Governo per conflitto di competenze, una decisione che testimonia quanto la materia richieda una disciplina statale univoca e non interventi frammentati.

Un Paese sospeso tra etica, giurisprudenza e politica

Dalla sentenza del 2019 in poi, il numero di richieste di suicidio medicalmente assistito è aumentato insieme al peso delle decisioni giudiziarie. In assenza di una legge, la giurisprudenza continua a colmare vuoti che il Parlamento non affronta, mentre i pazienti si confrontano con percorsi irregolari, ostacoli procedurali e significative disparità territoriali. Secondo il Censis, il 74% degli italiani è favorevole all’eutanasia o al suicidio medicalmente assistito. Una percentuale che rivela la distanza ormai profonda tra opinione pubblica e politica. Il tema resta urgente: non più solo una questione bioetica, ma un terreno su cui si misurano diritti, equità e capacità istituzionale di dare risposte chiare alle persone che si trovano nella fase più fragile della loro vita.

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