Dalla scoperta della sindrome post-finasteride alle prime evidenze su allopregnanolone e zuranolone
La sindrome post-finasteride (PFS) è una condizione persistente che può manifestarsi in alcuni pazienti a seguito dell’assunzione di finasteride, farmaco comunemente impiegato per trattare l’alopecia androgenetica e l’ipertrofia prostatica benigna. Sebbene gli effetti collaterali fossero inizialmente considerati reversibili con la sospensione del farmaco, in alcuni casi permangono per anni, compromettendo la qualità della vita. Tuttavia, nuove ricerche aprono orizzonti promettenti: studi recenti sul ruolo dei neurosteroidi, e in particolare dell’allopregnanolone, indicano potenziali strategie terapeutiche capaci di mitigare alcune sintomatologie associate alla PFS (Gut Inflammation Induced by Finasteride Withdrawal: Therapeutic Effect of Allopregnanolone in Adult Male Rats/ Exploration of the Possible Relationships Between Gut and Hypothalamic Inflammation and Allopregnanolone: Preclinical Findings in a Post-Finasteride Rat Model). Già un anno fa, il professor Roberto Cosimo Melcangi, responsabile dell’unità di Neuroendocrinologia dell’Università degli Studi di Milano, aveva spiegato a Sanità Informazione come i pazienti PFS presentino alterazioni persistenti di neurosteroidi.
Il ruolo dell’allopregnanolone
Ora, il suo team ha compiuto ulteriori passi avanti, confermando che la deplezione di allopregnanolone nel liquor cerebrospinale può essere un obiettivo concreto per nuove terapie. “Questo neurosteroide, derivato del progesterone – spiega il professore – è un regolatore cruciale della funzionalità cerebrale: modula il sistema GABAergico, influenzando il tono ansioso e depressivo, la memoria, la concentrazione e l’equilibrio neurovegetativo. Alterazioni persistenti dei livelli di allopregnanolone possono quindi contribuire ai disturbi osservati nei pazienti PFS, come ansia, depressione, irritabilità, disturbi del sonno e disfunzione sessuale”.
Perché si verifica la carenza di allopregnanolone
L’ipotesi più accreditata del perché si verifichi tale carenza di allopregnanolone è legata al meccanismo d’azione della finasteride, inibitore della 5-alfa-reduttasi. “Il farmaco – aggiunge il professor Melcangi – riduce la conversione del progesterone nei suoi metaboliti, tra cui l’allopregnanolone. Normalmente, dopo la sospensione del farmaco, i livelli di neurosteroidi dovrebbero tornare alla norma. Tuttavia, nei pazienti PFS la carenza persiste, suggerendo alterazioni a lungo termine della regolazione endocrina e neurochimica, un fenomeno confermato anche nei modelli sperimentali animali utilizzati dal gruppo di ricerca”.
Sintomi legati alla carenza di allopregnanolone
La deplezione del neurosteroide si traduce in una sintomatologia complessa: “Oltre ai disturbi psichiatrici, molti pazienti riportano alterazioni della funzione gastrointestinale, probabilmente correlate a disbiosi intestinale e infiammazione cronica, a loro volta con ricadute sul sistema nervoso centrale attraverso l’asse intestino-cervello. Gli aspetti sessuali, come deficit di libido o disfunzione erettile, sono spesso associati a questi disturbi psichici, creando un circolo vizioso difficile da interrompere”, spiega ancora lo specialista.
Neurosteroidi sintetici: la prospettiva dello zuranolone
Recenti sviluppi hanno acceso nuove speranze. La FDA ha approvato l’uso di zuranolone, un neurosteroide sintetico analogo all’allopregnanolone, per la depressione post-partum, e l’EMA lo ha autorizzato in Europa a settembre 2025, grazie a studi di fase III che hanno dimostrato miglioramenti dei sintomi ansioso-depressivi entro 15 giorni di somministrazione. “La somiglianza biologica con l’allopregnanolone suggerisce che lo zuranolone potrebbe agire sul deficit GABAergico anche nei pazienti PFS, offrendo un possibile approccio terapeutico”, aggiunge l’esperto.
Condizioni e tempistiche di applicazione
Secondo il professor Melcangi, lo zuranolone rappresenta un candidato promettente per la PFS, ma la ricerca è ancora in fase preclinica. “Nei modelli animali, l’allopregnanolone ha già mostrato la capacità di ristabilire l’equilibrio intestinale e ridurre la neuroinfiammazione a livello cerebrale, in particolare nell’ipotalamo. Lo zuranolone, con somministrazione orale e metabolismo più stabile, potrebbe offrire vantaggi pratici rispetto all’allopregnanolone naturale, ma prima di avviare studi clinici su pazienti PFS occorre confermare l’efficacia e la sicurezza in laboratorio”, dice.
Verso nuove terapie personalizzate
Il percorso per tradurre queste scoperte in terapia clinica è ancora lungo. L’obiettivo del gruppo di Melcangi è dimostrare che modulando i livelli di neurosteroidi, attraverso approcci diretti o indiretti (es. riequilibrio della flora intestinale), sia possibile migliorare i sintomi psichici, neurologici e sessuali dei pazienti PFS. “La prospettiva – conclude il professor Melcangi – è offrire una strategia personalizzata, basata su evidenze sperimentali, per una condizione ancora poco compresa e sottostimata”.
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