Salute 17 Aprile 2019 18:01

Batteri resistenti e polveri sottili, è made in Italy la nuova nanotecnologia fotocatalitica in grado di abbatterli

Il professor Vincenzo Romano Spica: «Una tecnologia particolarmente utile in ambienti ospedalieri e sanitari. I risultati si ottengono in pochi minuti e mantengono la loro efficacia fino ai trenta giorni successivi». Il test è stato effettuato in una stanza di ospedale. «Già dopo pochi minuti il trattamento – spiega il professore di Igiene - ha mostrato la sua efficacia sia sulla carica microbica delle pareti, sia su quella totale presente nell’aria»
di Isabella Faggiano
Batteri resistenti e polveri sottili, è made in Italy la nuova nanotecnologia fotocatalitica in grado di abbatterli

Ogni anno, in Europa, l’inquinamento atmosferico miete circa 790mila vittime, una cifra raddoppiata rispetto alle stime degli anni precedenti. In l’Italia, il 6% dei pazienti ricoverati, per un totale di circa 530 mila individui all’anno, contraggono un’infezione ospedaliera. Ma ora, grazie ad una nuova tecnologia, in grado di disgregare e mineralizzare polveri sottili e batteri resistenti, questa tendenza potrebbe essere finalmente invertita.

La nanotecnologia fotocatalitica, completamente made in Italy, attraverso aria e luce attiva un processo ossidativo in grado di diminuire sia la carica batterica che la concentrazione di agenti inquinanti presenti nell’atmosfera. La tecnologia in questione si è rivelata particolarmente efficace contro microbi e batteri: è stata sperimentata sia in laboratorio che all’interno di un ospedale dall’università La Sapienza di Roma.

«I batteri presenti nell’ambiente non sono necessariamente nocivi, in alcuni casi sono addirittura utili alla nostra stessa vita – spiega Vincenzo Romano Spica, ordinario di Igiene e responsabile del laboratorio di epidemiologia e biotecnologia dell’università di Roma “Foro Italico” -. Poi, ce ne sono degli altri che sono dannosi e, pertanto, vanno tenuti sotto controllo o eliminati, soprattutto in quei posti ritenuti particolarmente a rischio. Ed è proprio in questi ambienti che abbiamo voluto testare l’efficacia della nanotecnologia».

Ma come per tutte le sperimentazioni è stato necessario cominciare dai laboratori, per poi passare a testarne l’efficacia in quei luoghi comunemente frequentati durante la vita di tutti i giorni. «Attraverso questi esperimenti – continua il docente – sono state valutate le capacità fotocatalitiche di alcuni prodotti, ovvero la potenzialità di favorire delle reazioni in presenza della luce. Il gruppo di ricerca ha cominciato le sue sperimentazioni all’interno del laboratorio, verificando l’azione antibatterica su Escherichia coli, Vibrio cholerae, Staphylococcus aureus, Pseudomonas aeruginosa».

I risultati ottenuti hanno mostrato l’efficacia dei materiali fotocatalitici: «In particolare – sottolinea Spica – del prodotto a base di TiO2 (biossido di titanio). Successivamente è stato eseguito un test di laboratorio su una parete rivestita da comune intonaco e contaminato dal microrganismo risultato meno sensibile, durante le prove precedenti, all’azione disinfettante del TiO2 indotta dalla luce».

Gli effetti positivi delle sperimentazioni hanno spinto i ricercatori ad agire direttamente sul campo: «Il test – commenta il professore di Igiene – è stato effettuato in una stanza di ospedale. Già dopo pochi minuti il trattamento ha mostrato la sua efficacia sia sulla carica microbica delle pareti, sia su quella totale presente nell’aria». Un risultato sorprendente che pare permanga almeno per i trenta giorni successivi. E tutto grazie ad una semplice e comune luce al neon.

Ma le prospettive d’impiego di questa nanotecnologia non si limitano ai reparti nosocomiali: «È una tecnologia sicuramente utile in ambienti ospedalieri o sanitari – dice Spica – ma potrà essere utilizzata ovunque sia necessario tenere sotto controllo la carica microbica e batterica per tutelare la salute di tutti gli individui. Non solo dei pazienti o di soggetti particolare debilitati – conclude il professore – ma anche di quei lavoratori che per la professione svolta sono soggetti potenzialmente a rischio».

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