Prevenzione 15 Dicembre 2025 14:17

PreventionTalk 4: una nuova governance delle vaccinazioni, oltre la stagionalità e più co-somministrazioni

Quarto appuntamento con il progetto editoriale di Homnya dedicato alla prevenzione primaria. Al centro le Infezioni respiratorie prevenibili con vaccino

di Lucia Conti
PreventionTalk 4: una nuova governance delle vaccinazioni, oltre la stagionalità e più co-somministrazioni

La prevenzione delle infezioni respiratorie prevenibili da vaccino (VPRD) rappresenta oggi una priorità strategica per la salute pubblica, in un contesto in cui la diffusione di patologie croniche e la vulnerabilità clinica richiedono risposte tempestive ed efficaci. La vaccinazione si conferma uno strumento essenziale ma in Italia le coperture vaccinali per queste patologie, e nell’adulto in generale, sono ancora al di sotto del target raccomandato. È necessario un nuovo modo di comunicare i benefici della vaccinazione, ma anche un modello di governance della prevenzione che valorizzi le opportunità offerte dalla co-somministrazione vaccinale, favorisca la destagionalizzazione delle campagne e coinvolga in modo sinergico medicina generale, specialisti, servizi territoriali e istituzioni. Come emerso nell’ultima puntata di Prenvention Task, il nuovo progetto editoriale di Homnya dedicato alla prevenzione primaria, promosso con il contributo non condizionante di Pfizer.

Ospiti del talk, condotto da Corrado de Rossi Re (Direttore responsabile di Sanità Informazione), sono stati Fabrizio Ernesto Pregliasco, direttore sanitario dell’Irccs Ospedale Galeazzi di Milano; Massimo Andreoni, direttore della Clinica di Malattie Infettive Università Tor Vergata di Roma; Giovanni Rezza, professore straordinario di Igiene presso l’università Vita-Salute San Raffaele di Milano; Andrea Zanchè, responsabile Macroarea cronicità di Simg; Antonino Trimarchi, responsabile Centro Studi CARD Italia; Maria Rosaria Gualano, professore associato di Igiene e Medicina Preventiva presso l’Università Medica Internazionale UniCamillus.


Aprendo il confronto, Fabrizio Ernesto Pregliasco ha sottolineato “il ruolo strategico dell’integrazione tra ospedale e territorio per incrementare le coperture vaccinali”. L’ospedale, ha spiegato, “ha la possibilità di identificare i casi più complessi e i soggetti ad alto rischio”, mentre il territorio “dovrebbe garantire la continuità assistenziale e monitoraggio anche nell’ambito dell’attività vaccinale”. Da qui la necessità di un’azione su più livelli: “In ospedale serve una vaccinazione opportunistica intraospedaliera, con la valutazione dello stato vaccinale durante il percorso clinico, inserendo la prevenzione nei PDTA, trasformandoli in PPDTA”. Fondamentale per il direttore sanitario del Galeazzi anche “la dimissione protetta con un piano vaccinale personalizzato”, che richiede una “connessione più stretta con le strutture territoriali” e una “formazione specifica del personale, soprattutto ospedaliero, spesso non coinvolto attivamente nella vaccinazione ma neanche attivo sul fronte della promozione vaccinale”. Riguardo ai servizi territoriali, Pregliasco ha evidenziato l’importanza di “follow-up programmati, recall attivi, integrazione vaccinale nei PDTA e un’estensione delle sedi vaccinali”. Passaggio chiave, infine, “l’adozione del fascicolo sanitario elettronico e di piattaforme condivise per valutare lo stato vaccinale”, insieme a sistemi di sorveglianza e campagne coordinate, per costruire “un unico ecosistema vaccinale capace di identificare ed eseguire le vaccinazioni in un’ottica di medicina personalizzata”.

Massimo Andreoni ha evidenziato l’errore diffuso di considerare le infezioni respiratorie “stagionali o addirittura banali”, mentre le evidenze dimostrano che “sono presenti tutto l’anno” e possono avere “un impatto importante sulla salute dei pazienti, soprattutto se anziani e fragili, generando complicanze e condizioni che possono portare esiti anche fatali”. Un atteggiamento, ha ricordato il direttore della Clinica di Malattie Infettive Università Tor Vergata di Roma, a cui abbiamo assistito anche nei confronti del Covid, “che a un certo punto abbiamo iniziato a definire una banale influenza”. Per invertire questa percezione distorta, per Andreoni, “la prima cosa da fare è comunicare correttamente, alle persone ma anche al personale sanitario, i rischi di queste malattie. Spiegare hanno un impatto enorme sulla salute dell’individuo ma anche sulla salute pubblica. Che possono portare complicanze gravi e anche fatali. I dati parlano chiaro: nei mesi di massima circolazione dei virus respiratori e influenzali si stima un eccesso di mortalità tra 5.000 e 15.000 persone”, mentre “il solo virus respiratorio sinciziale provoca ogni anno tra 25.000 e 50.000 ricoveri e circa 2.000 decessi. Non sono numeri, sono persone”.

Riguardo ai bassi dati di copertura vaccinale, Giovanni Rezza ha sottolineato come l’Italia, pur non brillando, si collochi in realtà “in una posizione mediana in Europa”. Dato che, “più che consolare, dimostra che non si tratta di una questione italiana ma di difficoltà diffuse in molti altri Paesi”. Lo scontro no vax- pro vax, per Rezza, rischia di essere una sorta di alibi e di non portare ad alcun risultato: “Dobbiamo capire le ragioni profonde di queste basse coperture basse che non risiedono certo nella convinta cultura no vax”.
Per quanto concerne la vaccinazione antinfluenzale e la popolazione anziana, per Rezza va riconosciuto e valorizzato il ruolo centrale di medicina generale, che “deve diventare decisivo e può esserlo grazie al contatto diretto con il paziente”, forse da potenziare per quanto riguarda le vaccinazioni e da sviluppare in senso più “empatico”. Il Covid sconta, invece, “il calo della percezione del rischio ed, evidentemente, una credibilità non sempre forte delle istituzioni e delle autorità sanitarie”. In definitiva “noi medici dobbiamo essere più convinti e più convincenti” ma anche “venire messi nelle condizioni di poter garantire un’offerta vaccinale attiva”. Anche perché “non tutte le vaccinazioni sono stagionali” e le malattie “vanno anticipare e non ricorse”. Dunque “dobbiamo essere più pronti e più reattivi, adattando le strategie vaccinali alla situazione e alla circolazione reale”.
Quanto alla co-somministrazione, per Rezza si tratta della soluzione “ottimale”, ma da accompagnare a “una comunicazione chiara che renda le persone consapevoli delle scelte”, senza imporre modelli rigidi, perché è la libera scelta convinta e consapevole che aumenta l’aderenza.

Andrea Zanchè, nel suo ruolo di medico di medicina generale, ha concordato come “la comunicazione sia un aspetto fondamentale e, come anche l’Oms afferma, tempo di cura”. La forza del medico di famiglia sta nel “rapporto fiduciario, che può durare anche tutta la vita”, permettendo al medico di prendersi carico “non solo degli aspetti clinici, ma anche sociali e familiari” dei pazienti. Il medico di famiglia è quindi, per responsabile Macroarea cronicità di Simg, la figura che forse più di altre può comprendere le ragioni della mancata vaccinazione e intervenire. “Operiamo in un contesto complesso, in cui circa il 30% della popolazione è composta da over 75 con più patologie e in polifarmacoterapia. Tra loro c’è, a titolo di esempio, la signora Maria che teme di vaccinarsi perché assume già troppi farmaci” o “pensa di non averne bisogno perché assume già molti farmaci. O il signor Pietro, 67 anni, convinto di non aver bisogno del vaccino perché in vita sua non si è mai ammalato. Ma c’è anche la signora fragile, che si vaccinerebbe pure ma il figlio non vuole farla vaccinare o semplicemente non la accompagna, allora dobbiamo vaccinarla a domicilio. Situazioni che dimostrano come la medicina generale non possa avere un approccio di attesa, ma deve essere proattiva”. A questi casi si uniscono i “già molti pazienti sensibilizzati, che ogni anno ci chiedono il vaccino, e che vanno semplicemente informati quando le campagne vaccinali stanno per essere avviate e i vaccini diventano disponibili”.

Nel suo intervento, Antonino Trimarchi, ha sottolineato la necessità di “sviluppare una nuova sensibilità di sistema” per integrare davvero la P di prevenzione nei PDTA, trasformandoli in PPDTA. Non basta più, ha spiegato, “una logica prestazionale che rammenda gli strappi dell’aderenza vaccinale”: occorre “portare la vaccinazione dentro il percorso di cura”. Una visione che deve entrare “nelle cure primarie, nell’area donna-bambino-famiglia, nella salute mentale e nella riabilitazione”, costruendo “un sistema in cui la prevenzione dialoghi con il sociale, perché molti problemi di non aderenza derivano proprio da aspetti sociale”. Per questo la riscrittura dei PDTA deve “collocare la vaccinazione dentro la costruzione del rischio clinico, che è sociale, ambientale e sanitario”. Una P preziosa, che per Trimarchi significa “prevenzione ma anche personalizzazione e partecipazione” e che richiede strategie “non solo comunicative, ma profondamente relazionali”.
Da qui l’invito a “lavorare sugli interstizi” — tra medici di base e specialisti, tra distretto e ospedale, tra sanitario e sociale, tra paziente, familiari e comunità — che “significa avere unità valutative multidimensionali che producono i PAI e in grado di valorizzare tutti gli autori della salute che si interfacciano nei diversi segmenti, perché è questo che permette di aumentare l’aderenza e anche di liberare tempo per le acuzie”. La comunicazione, ha concluso, “deve essere basata sulla prossimità” e accompagnata da “una pedagogia della cura, vista come normalità e eccezionalità, superando l’emergenzialità e la stagionalità per arrivare a un modello efficace e a bassissimo costo.

Anche Maria Rosaria Gualano ha posto l’accento, più che sulla governance e sui professionisti sanitari, sul ruolo che devono avere i cittadini stessi, perché “possiamo organizzare campagne vaccinali perfette, con vaccini, operatori, strutture e spazi, ma senza l’adesione dei cittadini tutto questo grande lavoro organizzativo viene vanificato”. Il nodo principale resta “il gap informativo, per certi versi paradossare visto che viviamo nell’era della comunicazione, ma che ha le sue ragioni nell’infodemia, in cui diventa difficile discriminare l’informazione corretta e riconoscerne la fonte giusta”. Un problema che riguarda, per Gualano, “anche gli operatori sanitari, per i quali serve una cultura più solida sulla prevenzione e la vaccinazione”. Accanto alla comunicazione, persistono criticità organizzative, soprattutto per gli anziani “che non sempre sono autonomi e hanno bisogno di qualcuno che li accompagni alle sedute vaccinali”. Per questo servono “strumenti di aiuto sociosanitario” e “un rafforzamento del ruolo dei distretti, dei dipartimenti di prevenzione e dei medici di famiglia, pietra miliare del sistema”. In un contesto segnato dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale, ha concluso, è possibile “agire su più fronti”, anche “riducendo la burocrazia che spesso ci affoga per liberare tempo da dedicare all’informazione e al sostegno all’adesione vaccinale”.

Concludendo, Fabrizio Pregliasco ha ribadito l’opportunità della co-somministrazione, da concretizzare anche introducendo “un check vaccinale obbligatorio” e sviluppando modelli organizzativi come i “vaccination corner”, gestiti da infermieri formati con supervisione medica. La co-somministrazione, ha aggiunto, va poi integrata “nella dimissione protetta” con appuntamenti vaccinali programmati sul territorio. Un lavoro che richiede “il contributo di tutte le figure professionali»: dallo specialista che identifica le fragilità, all’infermiere di reparto, alla direzione sanitaria che deve organizzare e facilitare l’offerta, fino ai medici e ai servizi del territorio”.

Massimo Andreoni ha posto l’accendo sulla ricerca e sulla crescente innovazione vaccinale: “Credo che la comunicazione debba adattarsi alle persone con cui si parla, soprattutto quando ci si rivolge ai soggetti fragili e agli anziani, ai quali occorre spiegare che esistono nuove tecnologie e nuovi vaccini pensati proprio per loro”. Spiegare che “la prevenzione con i vaccini è la forma di prevenzione più semplice” e che alcune malattie “possono essere il grilletto che fa scattare complicazioni importanti”. La tecnologia sanitaria, ha conclude Andreoni, rappresenta un alleato decisivo: “Dal 1970 a oggi la popolazione italiana ha guadagnato 10 anni di aspettativa di vita grazie al progresso della scienza sanitaria. Non sfruttare le nuove opportunità sarebbe un grande errore”.

Giovanni Rezza ha voluto invece richiamare di nuovo l’attenzione sul ruolo del personale sanitario: “Uno dei problemi dei vaccini è che non si studiano abbastanza, neanche all’università”, ed è così che i dubbi dei cittadini sui vaccini vengono trattati “in maniera marginale”. Per questo, secondo Rezza, “c’è bisogno di costruire una cultura vaccinale, anzitutto tra i medici e gli operatori sanitari, che devono essere molto informati per essere convincenti”. Puntare alla comunicazione più profonda, dunque, “abbandonando l’idea che basti moltiplicare i punti vaccinali per aumentare le coperture”, perché la vera sfida è “avere vaccinologi, che non significa che tutti i medici devono vaccinare, ma che tutti devono essere coinvolti nel lavoro di informazione e sensibilizzazione dei loro pazienti verso le vaccinazioni, dai medici di medicina generale ai pediatri, fino agli specialisti, ad esempio ai ginecologi per l’Hpv”.

Andrea Zanché ha garantito l’impegno della medicina generale, ma anche sottolineato la necessità di introdurre strumenti che facilitino un ruolo più attivo dei medici di medicina generale nelle vaccinazioni, “e ce n’è un gran bisogno, perché non credo che ci sia categoria che eroghi cure in maniera più disomogenea dei medici di famiglia, che a volte si rifiutano di vaccinare anche per gli eccessivi oneri burocratici che questo comporta”. Per Zanché servono anche strumenti informatici adeguati: “Oggi registriamo i dati su software diversi e portali che non comunicano tra loro, e ciò impedisce di costruire quel binario comune necessario alla collaborazione tra professionisti, a conoscere lo stato vaccinale della popolazione, a sapere dove e come meglio intervenire”. La vaccinazione dell’adulto, ha concluso Zanché, “ha oggi un’importanza paragonabile a quella della vaccinazione infantile del secolo scorso e come quella pediatrica, deve diventare solida e basarsi su una solida cultura”.

Per Antonino Trimarchi serve “un Distretto forte”, capace di “fare da ponte costante con l’ospedale e di sostenere l’area della medicina generale”. Ha evidenziato l’importanza di “giovani professionisti pronti a chiudere i bias e permettere che l’evoluzione continui” e di “indicatori comuni che misurino la salute guadagnata e non i volumi”. Fondamentale, ha aggiunto, è “valorizzare il dipartimento di prevenzione” e allo stesso tempo “andare incontro con i piedi a terra ai bisogni dei Comuni, dove la vaccinazione vive realmente”. Tra le misure concrete proposte, l’introduzione della vaccinazione nelle Unità di Valutazione Multidisciplinare e nei Piani Assistenziali Individuali, e l’alimentazione del patient summary per rendere i dati sulle vaccinazioni “visibili, leggibili e interoperabili”.

A chiudere la puntata Maria Rosaria Gualano secondo cui la pandemia da Covid ha rappresentato “un trauma”, che ha portato a “un fenomeno di rimozione di tutto ciò che è legato a quel periodo”, colpendo le vaccinazioni in generale. Per superare questa “stanchezza” e “rifiuto” della vaccinazione, “la parola chiave è empatia”, cioè “cercare di sentire ciò che sente l’altro, riconoscendo che operatori sanitari e cittadini hanno spesso percezioni molto diverse. Dobbiamo capire chi abbiamo di fronte per comunicare in maniera adatta e trovare una leva personalizzata che riavvicini le persone alla vaccinazione”.

GLI ARTICOLI PIU’ LETTI
Salute

“Ogni ora di schermo è un rischio”: la SIP aggiorna le linee guida sui bambini digitali

Troppi device, troppo presto. I pediatri: “Lo smartphone? Non prima dei 13 anni”
di I.F.
Salute

Fibromialgia: allo studio montagna, mindfulness e nordic walking come terapie

E' appena partito all'Ospedale Niguarda di Milano un progetto sperimentale per offire ai pazienti con fibromialgia terapie complementari come immersioni nella natura, sessioni alle terme, mindfulness ...
di Valentina Arcovio
Advocacy e Associazioni

3 dicembre: nasce il nuovo Piano nazionale per i diritti delle persone con disabilità

In occasione della Giornata internazionale per i diritti delle persone con disabilità, il Governo presenta un Piano strategico che punta su inclusione, accessibilità e partecipazione
di Redazione