Gli ultimi dati internazionali mostrano che le differenze di genere restano un punto critico: le donne sembrano più colpite, ma arrivano alla diagnosi più tardi e con minori opportunità terapeutiche
La malattia renale cronica procede spesso senza sintomi, insinuandosi nel quotidiano di milioni di persone. Quando diventa evidente, troppo spesso la funzione renale è già compromessa. È la condizione che i nefrologi definiscono “il silenzio che pesa”: un silenzio che riguarda in modo particolare le donne, più esposte negli stadi moderati della patologia ma meno riconosciute nei percorsi di cura. È un paradosso che emerge con chiarezza dalle recenti analisi pubblicate su Nature Reviews Nephrology, dove gli studiosi descrivono come il genere continui a modellare epidemiologia, accesso alle cure e qualità di vita.
Le donne più colpite, gli uomini più a rischio di progressione
Dai dati emerge un quadro complesso. Le donne presentano una prevalenza più alta di malattia renale negli stadi intermedi, vivono un carico sintomatologico spesso maggiore e riferiscono una qualità di vita più compromessa. Gli uomini, al contrario, tendono a sviluppare una progressione più rapida verso l’insufficienza renale terminale e registrano tassi più elevati di mortalità e complicanze cardiovascolari. Due traiettorie diverse che si incrociano in un sistema clinico che fatica a riconoscere in tempo il bisogno di cura femminile. Secondo gli autori, le donne vengono indirizzate più raramente a una valutazione nefrologica, ricevono con minore frequenza terapie antiproteinuria e incontrano più ostacoli nel percorso diagnostico. Il risultato è un ritardo che pesa e che, spesso, compromette l’efficacia della presa in carico. Il quadro non è nuovo, ma lo studio lo inquadra con una chiarezza difficile da ignorare, chiamando in causa fattori socioculturali, clinici e organizzativi.
La necessità di un cambio di passo
Gli esperti sottolineano l’urgenza di un approccio più attento alle differenze di genere, che non si limiti a registrare i dati ma li traduca in azioni concrete: campagne di informazione mirate, percorsi clinici più sensibili alle specificità femminili, maggiore formazione per i professionisti. Sono tasselli di una stessa strategia che punta a ridurre la quota, ancora elevata, di diagnosi tardive. Una malattia renale cronica non è un tema confinato agli ambulatori specialistici, ma un problema di salute pubblica che continua a crescere. Le differenze di genere evidenziate dalla ricerca non sono solo un dato statistico, ma la fotografia di un sistema che può e deve fare di più. Perché riconoscere in tempo la malattia significa dare valore alla vita quotidiana delle persone, prima ancora che ai loro esami.
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