L’uso quotidiano e prolungato dei social media è associato a un graduale aumento dei sintomi di disattenzione, mentre non emergono effetti simili per televisione o videogiochi
Un ampio studio longitudinale su oltre 8.000 bambini tra 9 e 14 anni mostra che l’uso quotidiano e prolungato dei social media è associato a un graduale aumento dei sintomi di disattenzione, mentre non emergono effetti simili per televisione o videogiochi. La ricerca, pubblicata sulla rivista Pediatrics Open Science dal Karolinska Institutet, indica che la costante esposizione a notifiche, messaggi e stimoli intermittenti può alterare la capacità di mantenere la concentrazione, suggerendo un possibile contributo all’incremento delle diagnosi di ADHD rilevato negli ultimi anni. Lo studio ha seguito 8.324 bambini statunitensi per quattro anni, registrando l’evoluzione delle loro abitudini digitali e il giudizio dei genitori su attenzione e impulsività.
I social media comportano distrazioni costanti
I ricercatori hanno osservato che l’aumento del tempo trascorso su piattaforme come Instagram, Snapchat, TikTok, Facebook, Twitter e Messenger era sistematicamente associato allo sviluppo di sintomi di disattenzione, indipendentemente dal profilo socioeconomico, dal contesto familiare e dalla predisposizione genetica all’ADHD. Non è invece emersa alcuna relazione con comportamenti iperattivi o impulsivi. Secondo gli autori, la natura stessa dei social media rappresenta un fattore critico. “I social media comportano distrazioni costanti e la sola attesa di un messaggio può agire come elemento di disturbo mentale, riducendo la capacità di mantenere il focus”, spiega Torkel Klingberg, neuroscienziato del Karolinska Institutet.
Aumenta il tempo trascorso sui social
Il meccanismo, sottolinea, non implica un peggioramento immediato ma un progressivo indebolimento dei processi attentivi, che potrebbe avere un impatto rilevante a livello di popolazione. Il tempo di esposizione ai social cresce rapidamente con l’età: dai 30 minuti al giorno a 9 anni fino a una media di 2,5 ore intorno ai 13 anni, nonostante i limiti anagrafici previsti da molte piattaforme. La ricerca mostra inoltre che i bambini già distratti non tendono a utilizzare di più i social, escludendo che il rapporto individuato sia dovuto a una maggiore attrazione dei soggetti iperattivi verso gli schermi. La direzione dell’associazione, osservano gli scienziati, procede dall’esposizione digitale alla comparsa dei sintomi.
Allo studio nuove linee guida per proteggere lo sviluppo cognitivo
Gli autori sottolineano anche la necessità di rivedere criteri e strumenti di educazione digitale, valutando con maggiore attenzione l’età di accesso e le modalità di progettazione delle piattaforme. L’obiettivo è definire linee guida che proteggano lo sviluppo cognitivo in una fase critica della crescita, in cui le reti neurali deputate all’attenzione sono ancora in formazione e particolarmente sensibili a stimoli ripetitivi e frammentati. Il gruppo di ricerca prevede ora di seguire i partecipanti oltre i 14 anni per verificare la persistenza dell’effetto e l’eventuale comparsa di ulteriori correlazioni con rendimento scolastico, comportamento sociale ed esposizione cumulativa agli schermi.
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