Salute 9 Dicembre 2025 15:45

Intestino, non è condannato a invecchiare: due studi spiegano come prevenirne il declino

Dalla “deriva epigenetica” che aumenta il rischio di tumore del colon alla perdita di capacità rigenerativa dopo i danni: gli scienziati dell’Università di Torino e del Leibniz Institute on Aging svelano meccanismi e possibili strategie d’intervento

di Isabella Faggiano
Intestino, non è condannato a invecchiare: due studi spiegano come prevenirne il declino

L’intestino è un tessuto in continuo rinnovamento. Ogni pochi giorni, il suo epitelio si rigenera grazie a un sistema di cellule staminali altamente specializzato. Ma con l’avanzare dell’età questo equilibrio si incrina, aprendo la strada a infiammazioni, infezioni e, soprattuttom a un rischio crescente di tumore del colon. Comprendere perché accada e come intervenire è la sfida al centro di due studi appena pubblicati su Nature Aging e Nature Cell Biology, frutto della collaborazione tra l’Università di Torino e il Leibniz Institute on Aging – Fritz Lipmann Institute (FLI) di Jena. Le ricerche, presentate anche in una nota diffusa dall’ateneo, raccontano un quadro nuovo e molto più dinamico dell’invecchiamento intestinale: un processo non predeterminato, né irreversibile, che può essere influenzato attraverso percorsi molecolari oggi finalmente decifrati.

L’“Acca drift”: come l’epigenetica delinea il rischio di tumore del colon

Nel primo studio – Iron homeostasis and cell clonality drive cancer-associated intestinal DNA methylation drift in aging – il gruppo guidato dal prof. Francesco Neri descrive la cosiddetta Acca drift (Aging- and Colon Cancer–Associated drift), una forma di invecchiamento epigenetico che riguarda le cellule staminali intestinali. Con il passare degli anni queste cellule accumulano ipermetilazioni del DNA che spengono geni cruciali, soprattutto quelli legati alla via Wnt, indispensabile a mantenere l’epitelio intestinale in equilibrio. Questo determina un vero e proprio mosaico: accanto a cripte “giovani”, persistono cripte “invecchiate” che si espandono nel tempo, assumendo caratteristiche tipiche delle lesioni precancerose. Lo studio, la cui prima autrice è la ricercatrice Anna Krepelova, identifica anche i fattori che alimentano la deriva: alterazioni del metabolismo del ferro, riduzione dell’attività degli enzimi TET che rimuovono le metilazioni in eccesso, infiammazione cronica tipica dell’età e indebolimento del segnale Wnt. Intervenire su questi fattori non solo è possibile, ma mostra risultati concreti. Nei modelli di organoidi intestinali, ripristinare l’importazione di ferro o potenziare la via Wnt ha rallentato, in alcuni casi invertito, la deriva epigenetica. È la dimostrazione più forte finora ottenuta che l’invecchiamento epigenetico dell’intestino non è un processo fisso né irreversibile.

Il ruolo delle poliammine nella rigenerazione del tessuto intestinale anziano

Il secondo studio – Polyamines sustain epithelial regeneration in aged intestines by modulating protein homeostasis – affronta un’altra delle vulnerabilità dell’intestino che invecchia: la perdita di capacità di rigenerarsi dopo un danno. Sotto la guida del dott. Alessandro Ori, i ricercatori – tra cui Alberto Minetti e Omid Omrani – hanno dimostrato che nei topi anziani la riparazione del tessuto è compromessa da un’alterazione della proteostasi, il sistema che regola la qualità delle proteine cellulari. Dopo un danno (come quello prodotto da un chemioterapico), l’intestino anziano attiva con ritardo la produzione di poliammine, molecole come spermidina e putrescina indispensabili per la crescita cellulare. Anticipare questa risposta fa la differenza. Brevi periodi di restrizione calorica seguiti da rialimentazione, oppure integrazioni orali mirate, riattivano il metabolismo delle poliammine e ripristinano la capacità rigenerativa dell’epitelio.

Una nuova visione dell’invecchiamento dell’intestino: il potenziale è recuperabile

Le due ricerche convergono su un messaggio condiviso: l’invecchiamento dell’intestino non è un destino biologico immutabile, ma un processo che può essere modulato. A sottolinearne l’impatto è Massimo Segre, presidente della Fondazione Ricerca Molinette, che ha finanziato parte del lavoro: “Questi studi aprono a nuove prospettive concrete di prevenzione e cura per alcune delle malattie più frequenti dovute all’invecchiamento. La pubblicazione su due riviste di eccellenza è il riconoscimento di un lavoro straordinario e un passo verso l’applicazione pratica dei risultati”. Gli fa eco Emilio Hirsch, direttore scientifico della Fondazione Ricerca Molinette: “Questi risultati confermano che la ricerca selezionata e sostenuta con rigore è in grado di produrre un impatto diretto sulla qualità della vita della popolazione anziana. Sono frutto di anni di collaborazione tra UniTo e il FLI, istituto europeo di riferimento per lo studio dell’invecchiamento”.

Le nuove opportunità per la medicina dell’età avanzata

  • Le implicazioni sono molteplici:
    prevenire o rallentare l’invecchiamento intestinale intervenendo su ferro, infiammazione, via Wnt;
  • ridurre il rischio di tumore del colon legato all’età;
  • migliorare la guarigione dopo chemioterapia, infezioni o interventi chirurgici;
  • applicare gli stessi approcci ad altri tessuti soggetti a invecchiamento accelerato.

La prospettiva che emerge è chiara: il tessuto intestinale conserva un potenziale di autoguarigione che può essere stimolato. E la ricerca italiana è oggi tra i principali protagonisti nel mostrarlo.

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