Alla caserma Gonzaga di Foligno è in corso un maxi concorso per infermieri: tremila candidati per 124 posti disponibili nelle aziende sanitarie umbre, alle prese con i problemi legati a turn over e trasferimenti. La maggior parte dei partecipanti è giovane, il 60% sotto i trent’anni, in prevalenza donne, provenienti da Umbria, Lazio e Toscana (1).
Uno scenario che richiama alla memoria quanto accadeva poco prima della pandemia, quando concorsi altrettanto affollati alimentavano la convinzione (sbagliata) che noi infermieri fossimo “troppi”. Una convinzione tanto diffusa da trasformarsi in mobilitazione pubblica: nel 2016 nacque una petizione dal titolo eloquente, “Pochi posti di lavoro e troppi infermieri” (2). In quel testo si denunciava come per un singolo posto nei concorsi si presentassero migliaia di domande, si criticavano prove preselettive con quesiti ritenuti poco pertinenti (logica, cultura generale, storia dell’arte invece che clinica, farmacologia, assistenza), si contestavano tasse di iscrizione e criteri di residenza che penalizzavano i candidati. La narrazione che ne usciva era chiara: “siamo troppi, non c’è spazio per tutti”.
Eppure quella percezione era fuorviante. I numeri erano gonfiati da iscrizioni multiple: gli infermieri, dopo anni di blocco del turn over, si iscrivevano a decine di concorsi in giro per l’Italia. Non era segno di saturazione, ma della mancanza di occasioni di lavoro stabili. Un bisogno reale, ma interpretato con la lente sbagliata. Ricordo bene quel periodo perché fui attaccato, insieme ad altri, sui soliti social qualunquisti e “benealtristi”, quando facevo notare che non eravamo affatto troppi. Il motivo della rabbia era evidente: logiche opportunistiche e individualiste, del tutto comprensibili, ma incuranti di una visione generale.
Oggi la discussione si ripete a parti inverse. L’ultima rilevazione FNOPI (3) ha mostrato una flessione delle iscrizioni ai test di infermieristica. Subito titoli e commenti hanno parlato di “crollo”. Sui social, molti colleghi hanno espresso rabbia che si traduce nello slogan “nessuno vuole più fare l’infermiere”. Ma questo delegittima in qualche modo 20.000 aspiranti professionisti, e non tiene conto che nel 2001 erano 14.000. E attenzione: questo non significa che noi infermieri siamo abbastanza e soprattutto non significa che le cose vadano bene. Gli infermieri mancano. La professione va resa attrattiva. Ma non si può tradurre in “nessuno lo vuole più fare”. Serve lucidità e visione ampia.
La programmazione sanitaria deve guardare al futuro, non solo all’oggi. Finché ci limitiamo a rincorrere emergenze contingenti, rischiamo di creare danni futuri. Non a caso la narrazione semplicistica del “mancano medici” sicuramente produrrà una nuova pletora di camici bianchi e non sono io a dirlo(4). La fotografia di allora era sbagliata, e anche quella di oggi non racconta la verità di fondo.
La carenza infermieristica non va letta solo alla luce delle domande di oggi, ma di ciò che vogliamo garantire domani. E il futuro ci dice chiaramente alcune cose:
Qui sta la vera lezione: noi infermieri serviamo oggi come servivamo ieri, ma serviamo in modo diverso oggi e serviremo in modo diverso domani. Non funziona più la logica incrementale e quella tra usciti e entrati: serve una ridefinizione qualitativa del fabbisogno e capire se serve più infermieristica o più infermieri. Serve capire come immettere nel sistema pubblico l’infermiere giusto nel posto giusto e non “un” infermiere.
Ieri, concorsi affollati hanno alimentato la retorica della saturazione. Oggi, cali negli iscritti ai test alimentano la retorica della desertificazione. In entrambi i casi, sono slogan che distorcono la realtà.
E i social hanno un ruolo cruciale in questa distorsione: ieri rabbia per l’impossibilità di entrare, oggi rabbia per la mancanza di candidati.
Questo è il vero pericolo: se il dibattito resta confinato al qui e ora, i decisori politici rischiano di inseguire il consenso immediato, non di costruire strategie. Ma la programmazione sanitaria non può dipendere dal flusso dei commenti social.
Se c’è una lezione da trarre è chiara: per programmare servono dati prospettici, strumenti di analisi di sistema, politiche di attrattività e valorizzazione. Solo così eviteremo di oscillare, a distanza di pochi anni, tra il grido dei “troppi” e quello dei “troppo pochi”. Perché noi infermieri non siamo mai stati troppi o troppo pochi. Siamo sempre stati solo e semplicemente necessari là dove, però, siamo davvero necessari.
Fonti:
(1) Nurse24 – Maxi concorso Foligno
(2) Nurse Times – Petizione “Pochi posti di lavoro e troppi infermieri”
(3) FNOPI – Test infermieristica 2025
(4) FNOMCeO – 2030, l’anno di una nuova pletora medica