Sanità 2 Dicembre 2025 10:18

“Il tempo delle donne”: un indicatore di salute, lavoro e disuguaglianze

Un nuovo report della School of Gender Economics di UnitelmaSapienza analizza l’impatto del lavoro di cura non retribuito sulla vita professionale e sul benessere delle donne italiane

di Isabella Faggiano
“Il tempo delle donne”: un indicatore di salute, lavoro e disuguaglianze

C’è un dato, tra tutti, che restituisce con immediatezza il cuore del nuovo report della School of Gender Economics dell’Università degli Studi di Roma UnitelmaSapienza: per l’83% delle donne tra i 26 e i 35 anni il tempo per sé semplicemente non esiste. E non si tratta di un dettaglio privato, né di una percezione episodica: è un “indicatore economico”, come lo definisce la direttrice Azzurra Rinaldi, capace di misurare con precisione l’impatto del lavoro di cura non retribuito sulla partecipazione economica femminile. L’indagine, guidata da Rinaldi insieme a Claudia Pitteo e al ricercatore polacco Dawid Dawidowicz. sarà al centro dell’incontro pubblico del primo dicembre, nella Sala Conferenze di UnitelmaSapienza e in diretta streaming sul canale YouTube dell’Ateneo. A portare i saluti istituzionali saranno il Magnifico Rettore Bruno Botta, il Direttore Generale Mauro Giustozzi e il Direttore del Dipartimento di Diritto e Società Digitale Mario Carta. La presentazione è affidata alle ricercatrici insieme alla giornalista Ansa Enrica Di Battista.

Una fotografia nuova: il tempo come bene scarso e come fattore di salute

Il Report “Determinanti strutturali e meccanismi di riproduzione delle disuguaglianze di genere” — basato su un ampio campione di 2.456 partecipanti — non si limita a riordinare dati noti. Produce nuove evidenze: dati che raccontano come il tempo personale, quando diventa un lusso, cambi la traiettoria lavorativa e il benessere psicofisico delle donne. Se tra i 26 e i 35 anni l’83% delle partecipanti dichiara stanchezza costante, tra i 36 e i 45 anni l’81% afferma di non riuscire a ritagliarsi nemmeno un’ora al giorno per sé. Non è solo un problema logistico: è una questione di salute pubblica. La stanchezza cronica, unita alla pressione di conciliare responsabilità familiari e lavoro, produce effetti tangibili sulla qualità del sonno, sul livello di stress, sulla capacità di concentrazione e sulla produttività. Il 70% delle donne coinvolte riferisce ricadute psicologiche significative. Una percentuale che restituisce la dimensione di un fenomeno diffuso, strutturale, e ancora troppo poco riconosciuto nelle politiche del lavoro.

Il carico di cura: un lavoro invisibile che pesa come un secondo turno

Dall’indagine emerge con forza un dato che ribalta la narrazione di una parità ormai raggiunta: il 53% delle donne si occupa da sola del lavoro domestico. Per un altro 30%, il partner collabora “parzialmente”. La crescente occupazione femminile, insomma, non ha scalfito la tradizionale divisione dei compiti domestici: la cura rimane sulle spalle delle donne, senza riconoscimento e senza remunerazione. Questa asimmetria produce una spirale che accompagna l’intero ciclo di vita lavorativa: meno tempo per la formazione, minori opportunità di crescita, carriere più frammentate. Fino ad arrivare, secondo i dati Inps richiamati nel report, a pensioni inferiori del 37% rispetto a quelle degli uomini.

Smart working: opportunità per poche e nel momento sbagliato

Anche la flessibilità lavorativa, spesso presentata come risposta moderna alle esigenze di conciliazione, rivela una contraddizione importante. Lo smart working è adottato soprattutto dalle donne tra i 46 e i 60 anni: il 57% accede a modalità flessibili. Tra le più giovani – quelle nel pieno degli anni di cura dei figli – sette su dieci non possono usufruirne. Una dinamica che, osservano gli autori, la letteratura italiana non aveva ancora messo così chiaramente in luce: la flessibilità arriva tardi, quando la pressione familiare è già diminuita, e manca proprio nel momento in cui sarebbe più necessaria.

Violenza economica: l’altra faccia del potere

Il report dedica ampio spazio alle diverse forme di violenza economica, spesso invisibili ma profondamente radicate: controllo delle risorse, limitazione dell’autonomia finanziaria, ostacoli all’accesso al lavoro o alla formazione. Non solo: le ricercatrici richiamano anche la cosiddetta teoria del contraccolpo maschile. In alcuni contesti patriarcali, spiegano, l’aumento dell’indipendenza economica delle donne può generare reazioni violente volte a ristabilire un ordine di genere tradizionale. Un fenomeno poco esplorato nel dibattito pubblico italiano, ma che emerge con chiarezza sia dai racconti raccolti sia dalla letteratura internazionale.
Per Azzurra Rinaldi, occorre agire su due piani: culturale e strutturale. “L’educazione affettiva nelle scuole va affiancata all’educazione economico-finanziaria. L’autonomia passa dalla conoscenza, dalla consapevolezza e dalla possibilità di scegliere. Senza strumenti, nessuna donna può essere davvero libera”. I numeri italiani dialogano con quelli globali: secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, sono 708 milioni le donne escluse dal mercato del lavoro per responsabilità di cura. Una perdita immensa di potenziale umano ed economico.

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