Salute 1 Dicembre 2025 15:28

Il dolore cronico può essere il segnale di un trauma irrisolto

Il 3 dicembre Annamaria Ascione dell'Associazione Italiana per lo Studio del Dolore parlerà all'International Conference on Neuropsychiatry del trattamento multidisciplinare del dolore cronico

di Valentina Arcovio
Il dolore cronico può essere il segnale di un trauma irrisolto

Il dolore cronico non sempre è esclusivamente di tipo organico, ma può essere espressione corporea di un trauma irrisolto. Per questo può rivelarsi necessario un trattamento multidisciplinare. Questo è uno dei temi che Annamaria Ascione, socio AISD (Associazione Italiana per lo Studio del Dolore) e membro del Comitato Tecnico-Scientifico dell’ASSIMEFAC (Associazione Società Scientifica Nazionale di Medicina di Famiglia e Comunità), presenterà all’International Conference on Neuropsychiatry di Parigi, il prossimo 3 dicembre.

Ai medici spetta aiutare il paziente a “tradurre” il dolore in parola

“Alcune sindromi dolorose e apparentemente misteriose acquistano senso se considerate ‘narrazioni corporee’ di un trauma”, dichiara Ascione. “Il corpo può ‘custodire’ traumi non detti che si esprimono sotto forma di dolore. Il compito dei clinici, quindi, non è ridurre i sintomi – continua – ma aiutare il paziente a ‘tradurre’ quel dolore in parola e racconto, per fargli perdere parte della sua potenza distruttiva e farlo diventare occasione di consapevolezza e di dialogo. Solo così inizierà definitivamente il cambiamento e il percorso di guarigione per il quale occorre un approccio multidisciplinare e integrato tra medicina narrativa, psichiatria e psicoterapia analitica”.

Due “case history” di dolore da trauma irrisolto

Per spiegare meglio come il dolore sia espressione di un trauma irrisolto, Ascione presenta due casi clinici: quello di una donna con cistite interstiziale cronica e quello di un giovane con fibromialgia e dolore neuropatico. In entrambi i casi, i sintomi fisici vengono interpretati come “narrazioni somatiche” di una profonda sofferenza emotiva, legata a esperienze infantili caratterizzate da violenza familiare. Il primo caso illustra come il dolore vescicale della donna diventi una barriera, una difesa contro l’eccessiva vicinanza e il rischio di un contatto intimo vissuto come minaccia (la paziente assisteva da bambina alle violenze del padre che picchiava la madre). Il secondo caso mostra come il dolore fibromialgico e neuropatico diventi un meccanismo di “blocco” che impedisce al ragazzo di diventare violento come il padre che maltrattava la madre. In questo modo il paziente inconsciamente “frena” il suo corpo per non ripercorrere le orme paterne.

Necessarie cure multidisciplinari e integrate

Un approccio multidisciplinare e integrato tra medicina narrativa, psichiatria e psicoterapia analitica ha permesso ai pazienti di dare un nuovo significato alle radici emotive del loro dolore, riducendo la necessità di un trattamento farmacologico. Entrambi, inoltre, hanno constatato una riduzione dei sintomi, la donna dopo 2 anni, il ragazzo dopo 18 mesi di trattamento. Il nuovo approccio multidisciplinare che Ascione ha proposto per comprendere e curare il dolore cronico si chiama Modello Narrativo-Neuropsicosomatico del Dolore Cronico (MNNDC) fondato quindi su tre livelli: neurobiologico, psicoanalitico e narrativo che legge il dolore come “narrazione incarnata”, come sottolinea Ascione.

Il dolore cronico nella memoria corporea dei pazienti oncologici

In un altro studio dal titolo “Il cancro come soggetto terzo: dolore psicosomatico, identità traumatica e sfida terapeutica in psico-oncologia” pubblicato sulla rivista Advancements in Health Research e presentato al congresso nazionale AISD di Torino nel mese di settembre, Ascione analizzava il dolore nei pazienti oncologici, in particolare in quelli in remissione, che persiste non solo come memoria corporea, ma come un’impronta psicosomatica radicata. Nelle pazienti operate per tumore al seno e per tumore uterino, il dolore riaffiora spesso come prurito cronico, reazioni cutanee e disturbi dermatologici non sempre spiegabili sul piano organico. In questo quadro, il cancro diviene una presenza interna che abita la psiche e si interpone tra paziente e il mondo relazionale.

Il processo di liberazione del paziente

La sfida psicoterapeutica consiste nella possibilità di trasformare tale presenza persecutoria in un elemento narrativo: “La cura – conclude Ascione – non coincide con la remissione biologica, ma con la possibilità di trasformare in ‘racconto’ una presenza che non deve più rimanere indicibile. Il cancro viene ‘presentificato’ come ‘terzo reale’, soggettivato. I pazienti si rivolgono alla malattia con termini soggettivi ‘lui, quello, l’amichetto’, ad esempio. Il lavoro clinico consiste dunque nel traghettare il cancro dal ruolo di compagno muto e invasivo a quello di un capitolo di una storia da narrare, per dare il via al processo di liberazione del paziente”.

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