Salute 19 Novembre 2025 10:04

Fumare “poco” non limita i danni: il mito del consumo leggero crolla sotto il peso della scienza

Uno studio pubblicato su "PLOS Medicine" dimostra che anche fumare solo 2-5 sigarette al giorno aumenta il rischio di morte del 60% e quello di insufficienza cardiaca del 50% 

di Isabella Faggiano
Fumare “poco” non limita i danni: il mito del consumo leggero crolla sotto il peso della scienza

È una delle rassicurazioni più frequenti tra i fumatori: “Ne fumo poche, non può farmi così male”. Lo studio pubblicato su “PLOS Medicine“, in collaborazione con 22 coorti internazionali, ribalta questa idea con una forza difficilmente ignorabile. I ricercatori del Johns Hopkins Ciccarone Center hanno analizzato i dati di 323.826 persone monitorate fino a quasi vent’anni, registrando oltre 125 mila decessi e decine di migliaia di eventi cardiovascolari. E la conclusione è inequivocabile: anche 2-5 sigarette al giorno aumentano in modo sostanziale il rischio cardiovascolare e la mortalità. Secondo i dati, chi fuma a bassissima intensità presenta un rischio di insufficienza cardiaca superiore del 50% e una mortalità per qualsiasi causa superiore del 60% rispetto a chi non ha mai fumato. Non sono solo numeri: sono la conferma che il cuore e i vasi sanguigni reagiscono negativamente anche a esposizioni minime, molto più di quanto i fumatori occasionali o “moderati” tendano a credere.

Un danno che si attiva subito

La curva dose-risposta che emerge dall’analisi è sorprendentemente ripida alle basse intensità. In altre parole, una parte significativa del danno si verifica già nei primi anni di consumo e nelle prime poche sigarette quotidiane. Gli autori spiegano che il rischio associato ai primi 20 pack-year (il pack-year è unità di misura per indicare il consumo cumulativo di sigarette di un fumatore nel corso della sua vita , ndr) o alle prime 20 sigarette al giorno cresce più rapidamente di quanto faccia nelle esposizioni più elevate. È un dato che contraddice l’idea secondo cui fumare “poco” ridurrebbe drasticamente il rischio. Anche molti eventi specifici risultano aumentati: infarto, ictus, coronaropatie e perfino fibrillazione atriale, una condizione spesso non collegata al fumo nel sentire comune. La vulnerabilità del sistema cardiovascolare sembra avviarsi immediatamente e non risparmiare pressoché nessun distretto.

Una vulnerabilità maggiore nelle donne

Tra i risultati più rilevanti c’è la chiara differenza di rischio tra uomini e donne. Le donne fumatrici mostrano un aumento della mortalità e della morbilità cardiovascolare ancora maggiore rispetto agli uomini. Il fumo, spiegano gli autori, ha un impatto potenzialmente più aggressivo sul profilo cardiovascolare femminile, amplificando il rischio in modo più marcato. Questo elemento, spesso sottovalutato, aggiunge complessità e urgenza ai messaggi di salute pubblica destinati alle donne, soprattutto giovani.

Il beneficio enorme dello smettere

Accanto ai numeri che illustrano il danno, lo studio offre anche una buona notizia: smettere funziona, e funziona molto più rapidamente di quanto si creda. La riduzione del rischio è significativa già nei primi dieci anni dalla cessazione ed è proprio in questo periodo che si osserva il miglioramento più netto. Con il passare del tempo, i benefici continuano ad accumularsi; dopo vent’anni senza sigarette, gli ex fumatori presentano un rischio più basso dell’80% rispetto a chi continua a fumare. La curva non ritorna completamente ai livelli dei non fumatori, ma il recupero è comunque impressionante. Gli autori sottolineano che ciò che conta davvero non è ridurre il numero di sigarette, ma smettere. Il tempo trascorso dall’ultima sigaretta è più determinante della quantità fumata quotidianamente. Ridurre, da solo, non basta a contrastare il rischio.

Uno studio vastissimo, con alcuni limiti

La forza dello studio risiede nella dimensione del campione, nella durata del follow-up e nella quantità di eventi registrati. Si tratta di uno dei più grandi lavori epidemiologici mai condotti sugli effetti del fumo. Tuttavia, gli autori ricordano che il comportamento dei partecipanti è stato rilevato solo al momento dell’arruolamento e non aggiornato negli anni, e che non sono stati raccolti dati su sigarette elettroniche, tabacco riscaldato o prodotti senza combustione. È quindi un’analisi centrata sulle sigarette tradizionali e basata su dichiarazioni iniziali che potrebbero aver sottostimato il rischio reale.

La verità definitiva sul fumo “leggero”

Il messaggio che emerge è chiaro: non esiste un numero di sigarette al giorno che possa essere considerato “sicuro”. Anche quelle poche sigarette che molti si concedono nelle pause di lavoro, dopo i pasti o nelle occasioni sociali rappresentano una minaccia concreta per il cuore. Il danno inizia presto, è più forte di quanto percepito e non risparmia nessuno. Ed è proprio questa la conclusione più importante dello studio: per proteggere il cuore non bisogna fumare meno, bisogna smettere. E farlo il prima possibile.


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