Contributi e Opinioni 1 Luglio 2020 09:30

«DPS: “Missing in action” or “Mission impossible”?»

di Calogero Spada, Specialista TSRM in Neuroradiologia

Che i concorsi pubblici per i dirigenti delle professioni sanitarie fossero magistralmente orchestrati per legittimare nomine anzitempo previste, è una evidenza comunemente ricevuta dalle legioni di inoccupati partecipanti, che ormai hanno creato una vera e propria prosperante “national community”, di cui alcuno sembra preoccuparsi, visti i concorsi di ammissione ai nuovi anni accademici.

Ad avvalorare che trattasi di procedure poco chiare diversi elementi, a cominciare dal background culturale richiesto, i c.d. “argomenti inerenti la funzione da conferire”, oggetto di esame: a parte qualsivoglia argomento riguardante l’universo-mondo sanità, non ci sono particolari materie o programmi inerenti al profilo a concorso: in buona sostanza qualsiasi dissertazione è richiedibile (compresi oscuri dispositivi normativi regionali dagli incomprensibili acronimi), in barba agli ordinamenti didattici ministeriali, ai piani di studio degli atenei e delle “attività formative indispensabili” sostenute dai candidati negli anni di studio (3+2).

La domanda nasce spontanea: i concorsi pubblici sono o no nazionali?

Altra stranezza forse più imbarazzante: continuano ad imperversare pubblicazioni di concorsi ove sono convocate tutte le classi anche se, caso limite, il posto a concorso sia anche soltanto 1: ovvio che qualcosa non quadri, perché risulta difficile comprendere quale sia il posto a concorso e, corrispondentemente, quale sia la figura professionale di cui la azienda abbisogni.

L’arcano è però presto svelato: i contenuti delle norme di legge instancabilmente (ed anche in modo erroneo) citate: art. 6, comma 3 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni + legge 10 agosto 2000, n. 251, comma 1 degli articoli 1, 2, 3, e 4, che differenziano (o così dovrebbe essere) le “aree” delle professioni sanitarie con competenze diversificate, sono di fatto scavalcati dai c.d. “obiettivi formativi qualificanti” che, a quanto pare, sono uguali per tutti:

«I laureati magistrali possiedono una formazione culturale e professionale avanzata per intervenire con elevate competenze nei processi assistenziali, gestionali, formativi e di ricerca in uno degli ambiti pertinenti alle diverse professioni sanitarie ricomprese nella classe … hanno ulteriormente approfondito lo studio della disciplina e della ricerca specifica, alla fine del percorso formativo sono in grado di esprimere competenze avanzate di tipo educativo, preventivo, assistenziale, riabilitativo, palliativo e complementare, in risposta ai problemi prioritari di salute della popolazione e ai problemi di qualità dei servizi. … In base alle conoscenze acquisite, sono in grado di tenere conto, nella programmazione e gestione del personale dell’area sanitaria, sia delle esigenze della collettività, sia dello sviluppo di nuovi metodi di organizzazione del lavoro, sia dell’innovazione tecnologica ed informatica, anche con riferimento alle forme di teleassistenza e di teledidattica, sia della pianificazione ed organizzazione degli interventi pedagogico-formativi nonché dell’omogeneizzazione degli standard operativi a quelli della Unione europea.  … sviluppano, anche a seguito dell’esperienza maturata attraverso una adeguata attività professionale, un approccio integrato ai problemi organizzativi e gestionali delle professioni sanitarie, qualificato dalla padronanza delle tecniche e delle procedure del management sanitario, nel rispetto delle loro ed altrui competenze. Le conoscenze metodologiche acquisite consentono loro anche di intervenire nei processi formativi e di ricerca peculiari degli ambiti suddetti.»

Da notare che la locuzione di competenze e cultura “avanzati” figuri due volte: un messaggio da far pervenire ai governanti Veneti ed alla Presidente della Agenas …

Recentemente (10/2018) è stato anche fondato un “sindacato di categoria” dei dirigenti delle professioni sanitarie, cui però non possono iscriversi tutti gli aventi titolo, ma soltanto coloro che di fatto già esercitino la professione: anche qui lapalissiana domanda: come si intendano perseguire i dichiarati scopi di «promozione, affermazione, partecipazione, tutela, sensibilizzazione, etc …  per il raggiungimento di comuni obiettivi, coniugando al meglio i nuovi bisogni di salute della popolazione, le esigenze di funzionamento del Sistema Sanitario e gli interessi dei professionisti.» se non ci si fa carico, all’unisono con tutte le istituzioni della maggior parte dei laureati magistrali?

Ma la soluzione può essere anche troppo facile e troppo difficile al contempo: distribuire le risorse in sanità, che si spera siano ora meno scarse che nel recente passato per gli esiti della odierna pandemia, diventa un rebus ed una sfida per tutti. Il problema vero è che ci troviamo in un paese retrogrado su base medicocentrica, che non farà mai “mollare l’osso” ai medici e dove quindi non si creerà forse mai la figura del dirigente delle professioni sanitarie di reparto.

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