Lo rivela un ampio studio su oltre 200mila adulti, che mette in luce come la diffusione e la localizzazione del dolore, insieme a depressione e infiammazione, possano influenzare la pressione sanguigna
Il dolore cronico non è solo un fastidio da sopportare: può avere effetti diretti sulla salute del cuore. Secondo uno studio dell’University of Glasgow, pubblicato su Hypertension, il dolore persistente, soprattutto quando diffuso in tutto il corpo, aumenta drasticamente il rischio di ipertensione. La ricerca mette in luce un meccanismo complesso in cui depressione e infiammazione giocano un ruolo chiave, confermando che il dolore non è soltanto un sintomo, ma un indicatore di salute globale. Nel panorama della prevenzione cardiovascolare, conoscere il legame tra dolore cronico e pressione alta diventa quindi fondamentale.
Il legame tra dolore cronico e pressione alta
Analizzando i dati sanitari di oltre 200mila adulti, seguiti per una media di 13,5 anni, i ricercatori hanno osservato che chi soffre di dolore cronico ha una probabilità significativamente maggiore di sviluppare ipertensione. Chi presenta dolore cronico diffuso ha un rischio aumentato del 75%, mentre chi ha dolore localizzato in una zona specifica mostra un incremento di circa il 20%. La posizione del dolore è determinante: il dolore addominale cronico aumenta il rischio del 43%, il mal di testa del 22%, mentre il dolore a collo, spalle, schiena e anca varia tra 16 % e 19%.
Depressione e infiammazione: fattori chiave
Secondo Jill Pell, coordinatrice dello studio, “più diffuso è il dolore, maggiore è il rischio di sviluppare ipertensione”. Una delle spiegazioni principali è il ruolo della depressione: il dolore cronico favorisce sintomi depressivi e, a loro volta, la depressione incrementa il rischio di pressione alta. La depressione ha mediato circa l’11,3% dell’associazione tra dolore e ipertensione, mentre l’infiammazione misurata con la proteina C-reattiva ha contribuito per lo 0,4%.
Implicazioni per pazienti e operatori sanitari
I ricercatori evidenziano che il riconoscimento del dolore cronico è fondamentale per la prevenzione delle complicanze cardiovascolari. “Quando si cura chi ha dolore, è importante sapere che queste persone possono essere a maggior rischio di ipertensione, direttamente o attraverso la depressione. Individuare il dolore può aiutare a prevenire e trattare condizioni aggiuntive in modo tempestivo”, afferma Pell.
Limiti dello studio e prospettive future
Lo studio ha alcune limitazioni. La popolazione analizzata proviene dalla UK Biobank ed è costituita principalmente da adulti bianchi di mezza età, il che può ridurre la possibilità di generalizzare i risultati ad altre etnie o fasce di età. Inoltre, il dolore è stato auto-dichiarato al basale e la pressione valutata in momenti specifici, senza monitoraggio continuo. Nonostante ciò, la ricerca suggerisce nuove strategie di prevenzione: valutare e gestire il dolore cronico, monitorare la pressione e considerare la salute mentale dei pazienti possono diventare strumenti chiave per ridurre il rischio cardiovascolare a lungo termine. Questa ricerca invita a ripensare il dolore cronico non solo come sintomo da alleviare, ma come indicatore di rischio globale. Per il medico, significa integrare il monitoraggio della pressione e della salute psicologica nel percorso di cura. Per il paziente, rappresenta un’opportunità per chiedere un supporto più completo: non solo antidolorifici, ma anche prevenzione cardiovascolare e sostegno psicologico.
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