Raggi infrarossi e lievi correnti elettriche mostrano risultati incoraggianti in termini di efficacia e sicurezza per la cura della degenerazione maculare senile secca continua. Tre studi internazionali indicano nuove strategie non invasive per rallentare la progressione della degenerazione maculare
La degenerazione maculare senile secca continua a rappresentare una delle principali cause di perdita visiva irreversibile nei Paesi occidentali. La sua forma più avanzata, l’atrofia geografica, resta oggi priva di una terapia in grado di arrestarne il decorso. Eppure, proprio nelle fasi precedenti, quando la malattia è ancora in evoluzione, la ricerca sta individuando approcci innovativi che potrebbero cambiare la gestione clinica dei pazienti. Tecnologie basate sulla stimolazione della retina con luce infrarossa e sull’impiego di deboli impulsi elettrici stanno emergendo come strumenti promettenti, capaci di agire sui meccanismi biologici alla base del danno retinico. Lo dimostrano tre studi pubblicati di recente sulla rivista Eye del gruppo Nature, su Current Ophthalmology Reports e sul Journal of Biophotonic
Intervenire prima che il danno diventi irreversibile
Nella fase intermedia della maculopatia secca, la retina è segnata dalla presenza di drusen, piccoli depositi che si accumulano sotto l’epitelio pigmentato. È in questo stadio che la malattia può ancora essere intercettata, prima che evolva verso l’atrofia geografica e la perdita definitiva della visione centrale. Secondo gli specialisti, anticipare l’intervento significa provare a rallentare un processo che, una volta avanzato, non lascia margini di recupero funzionale. È proprio su questo terreno che tecniche come la fotobiomodulazione e la iontoforesi stanno attirando crescente attenzione.
Fotobiomodulazione: stimolare la retina con la luce
La fotobiomodulazione utilizza specifiche lunghezze d’onda della luce rossa e infrarossa per stimolare l’attività cellulare della retina. L’obiettivo è sostenere la funzione dei mitocondri, ridurre lo stress ossidativo e modulare i processi infiammatori che contribuiscono alla progressione della malattia. Il trattamento, non invasivo, viene eseguito in ambulatorio e richiede pochi minuti per ciascuna seduta. Studi recenti hanno mostrato miglioramenti nei parametri visivi e anatomici, come la riduzione delle drusen e un miglioramento del flusso sanguigno retinico, senza evidenziare effetti collaterali significativi nel breve termine.
Dati clinici e prospettive future
Le evidenze raccolte negli ultimi anni suggeriscono benefici modesti ma clinicamente rilevanti, soprattutto se il trattamento viene avviato nelle fasi iniziali della degenerazione maculare. Le analisi pubblicate su riviste internazionali indicano un possibile effetto protettivo nei confronti della progressione verso l’atrofia geografica. Resta però aperta la necessità di studi più ampi e standardizzati, in grado di definire con maggiore precisione indicazioni, protocolli e durata degli effetti nel lungo periodo.
Iontoforesi: portare i farmaci dove servono
Accanto alla stimolazione luminosa, un altro filone di ricerca punta sulla iontoforesi oculare. Questa tecnica sfrutta una corrente elettrica di bassissima intensità per facilitare il passaggio di sostanze terapeutiche attraverso le barriere oculari. Nel contesto della maculopatia secca, l’interesse si concentra sulla possibilità di veicolare direttamente nella macula composti antiossidanti e antinfiammatori, come la luteina, evitando iniezioni intraoculari e superando i limiti dell’assorbimento orale o topico.
Sicurezza e aumento del pigmento maculare
I risultati sperimentali indicano che la iontoforesi consente di raggiungere concentrazioni intraoculari significativamente più elevate rispetto alle vie tradizionali, interessando retina e coroide senza indurre danni strutturali o alterazioni della pressione intraoculare. In particolare, è stato osservato un incremento del pigmento maculare nelle aree trattate, un dato rilevante considerando il ruolo protettivo di queste sostanze nella degenerazione maculare. Anche in questo caso, il profilo di sicurezza appare favorevole, aprendo la strada a un possibile utilizzo clinico mirato.
Una speranza concreta, ma ancora in costruzione
Nel panorama di una patologia che continua a non avere una cura definitiva, fotobiomodulazione e iontoforesi rappresentano segnali importanti di avanzamento. Non si tratta di soluzioni risolutive, ma di strategie che potrebbero offrire ai pazienti un rallentamento della perdita visiva e una migliore qualità di vita. La sfida ora è trasformare queste evidenze preliminari in percorsi terapeutici validati, capaci di trovare spazio nella pratica clinica quotidiana.
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