Un semplice esame del sangue potrebbe rivelare precocemente il danno neuronale nel Parkinson grazie all’enzima JNK3, individuato come potenziale biomarcatore ematico della malattia. La scoperta apre nuove prospettive per diagnosi precoce, monitoraggio dell’evoluzione e sviluppo di terapie personalizzate
Un semplice prelievo di sangue potrebbe cambiare il modo in cui il Parkinson viene diagnosticato e seguito nel tempo. La ricerca scientifica apre infatti a uno scenario nuovo: individuare nel plasma un segnale precoce del danno neuronale, prima ancora che la malattia si manifesti in modo evidente. È quanto emerge da uno studio coordinato da scienziati italiani, che identifica l’enzima JNK3 come un potenziale biomarcatore ematico della neurodegenerazione. La scoperta, pubblicata su npj Parkinson’s Disease, è stata guidata da Tiziana Borsello dell’Università Statale di Milano e dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, ed è frutto di una collaborazione interdisciplinare che coinvolge anche la Sapienza Università di Roma, l’Università di Aston nel Regno Unito, l’Università Politecnica delle Marche e l’Università della Svizzera Italiana. Un lavoro corale che mette insieme competenze di neuroscienze, clinica e ricerca traslazionale. “Questi risultati rappresentano una svolta nella comprensione del Parkinson e delle malattie neurodegenerative – spiega Borsello -. JNK3, conosciuta finora come un target molecolare cruciale nei processi degenerativi, emerge oggi come un nuovo biomarcatore, in grado di guidare la diagnosi precoce, monitorare l’evoluzione della malattia e potenzialmente aprire nuove strade terapeutiche”.
Perché JNK3 è importante
Il Parkinson è una patologia complessa, caratterizzata da un lungo periodo ‘silenzioso’ che precede la comparsa dei sintomi motori. In questa fase precoce, il danno ai neuroni è già in atto, ma gli strumenti diagnostici disponibili sono limitati e spesso invasivi. Da qui la necessità di biomarcatori affidabili, specifici e facilmente misurabili. JNK3 è una chinasi espressa quasi esclusivamente nel cervello ed è coinvolta nei meccanismi di stress neuronale, disfunzione sinaptica e morte cellulare. Lo studio dimostra che questo enzima può essere rilevato nel plasma e che i suoi livelli risultano significativamente più elevati nei pazienti con Parkinson rispetto ai soggetti sani. Ancora più rilevante è il fatto che l’aumento di JNK3 sia osservabile anche nelle fasi iniziali della malattia e nei soggetti con disturbo del comportamento in sonno REM isolato, considerato uno dei principali stadi prodromici del Parkinson. Un segnale che rafforza il potenziale di JNK3 come indicatore precoce di neurodegenerazione.
Un biomarcatore che distingue i pazienti sani da quelli malati
Gli esperti hanno scoperto che JNK3 funziona come biomarcatore ematico associato al danno neuronale: la sua presenza, rilevabile tramite un semplice prelievo di sangue, consente di distinguere i pazienti con Parkinson dai soggetti sani con un’elevata specificità. Un risultato che supera, in questo contesto, le prestazioni di altri marcatori ematici già noti, come la neurofilament light chain. Inoltre, i livelli di JNK3 nel sangue risultano associati alla presenza di alfa-sinucleina patologica nelle biopsie cutanee, creando un collegamento diretto tra un biomarcatore periferico e uno dei meccanismi chiave della malattia.
Verso una medicina più personalizzata
L’uso di biomarcatori come JNK3 potrebbe avere un impatto concreto sulla pratica clinica: dalla diagnosi precoce alla stratificazione dei pazienti, fino alla selezione più accurata per i trial clinici. Un passo fondamentale anche per accelerare lo sviluppo di terapie innovative. “Biomarcatori come JNK3, insieme a strategie terapeutiche innovative, permetteranno di accelerare la traduzione clinica e di aprire la strada a una medicina realmente personalizzata per i pazienti con malattie del cervello – conclude Borsello -. Proprio per favorire questa translazione abbiamo fondato PepTiDa, start-up innovativa e spin-off dell’Università di Milano”.
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