Salute 16 Dicembre 2025 11:27

Disturbo cognitivo lieve, il 10% evolve in demenza in due anni. Lo studio italiano

La ricerca conferma l’importanza di strumenti diagnostici precoci e predittivi, basati anche sull’intelligenza artificiale, per identificare chi è maggiormente a rischio

di Isabella Faggiano
Disturbo cognitivo lieve, il 10% evolve in demenza in due anni. Lo studio italiano

Oltre 950mila italiani e circa 10 milioni di europei vivono con disturbo cognitivo lieve, una condizione che rappresenta una fase intermedia tra l’invecchiamento cerebrale normale e le demenze. Per alcuni soggetti, la funzione cognitiva resta stabile o addirittura migliora, ma fino a metà dei casi può evolvere verso la demenza entro pochi anni. “Il disturbo cognitivo lieve non implica di per sé una perdita di autonomia significativa, ma rappresenta un rischio aumentato di sviluppare demenza – spiega Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele di Roma –. Identificare precocemente chi è più vulnerabile è fondamentale per intervenire in modo mirato”.

I primi risultati di Ai-Mind

Presentati oggi a Roma i dati preliminari del progetto europeo Ai-Mind (Artificial Intelligence Mind), che ha coinvolto 1.022 pazienti in 4 centri clinici europei (Madrid, Oslo, Helsinki e Roma). Circa il 10% dei partecipanti ha sviluppato demenza nel corso di 24 mesi, mentre un ulteriore 20% ha mostrato un declino cognitivo significativo pur restando in condizioni di Mci. In Italia, il contingente più ampio dello studio, oltre 275 soggetti, è stato sottoposto a valutazioni neuropsicologiche, genetiche e strumentali, inclusi biomarcatori plasmatici dell’amiloide e elettroencefalogramma ad alta densità, ripetuti ogni otto mesi durante il follow-up.

L’innovazione della tecnologia predittiva

Ai-Mind, finanziato dalla Commissione europea con circa 14 milioni di euro nell’ambito di Horizon 2020, coinvolge 15 partner provenienti da 8 Paesi europei, con oltre 100 ricercatori tra neurologi, geriatri, bioingegneri, statistici, informatici ed esperti di Health Technology Assessment. L’obiettivo è sviluppare strumenti predittivi basati su intelligenza artificiale che integrino dati neurofisiologici, genetici, biologici, clinici e socio-demografici. “AI-Mind Connector individua reti cerebrali disfunzionali tramite M/EEG ad alta densità, mentre AI-Mind Predictor combina questi dati con test cognitivi, biomarcatori e informazioni cliniche per stimare il rischio individuale di evoluzione verso la demenza – spiega Rossini –. L’innovazione è poter prevedere precocemente chi necessita di intervento e pianificare strategie personalizzate”.

Differenze geografiche e genetiche

Un dato rilevante riguarda le differenze tra Nord e Sud Europa. Nei Paesi del Nord è più frequente la presenza della variante genetica Apoe e4, nota per aumentare il rischio di Alzheimer, e si osservano livelli più elevati di biomarcatori neurodegenerativi come p-tau181 e p-tau217, indipendentemente da età, sesso o istruzione. Queste differenze suggeriscono che, oltre al background genetico, contano fattori educativi, modalità diagnostiche e organizzazione dei sistemi sanitari. “Armonizzare le procedure in Europa è fondamentale per una diagnosi precoce e accurata – conclude Rossini – e per offrire la possibilità di intervento prima che compaiano deficit clinicamente rilevanti”.

Verso una diagnosi precoce e personalizzata

I dati raccolti nel progetto Ai-Mind saranno analizzati con algoritmi avanzati di intelligenza artificiale, con l’obiettivo di identificare caratteristiche precise in grado di predire il rischio di demenza e Alzheimer. Questo approccio innovativo apre la strada a interventi mirati e a una gestione più efficace della malattia, con potenziale impatto su milioni di persone a rischio in Europa.

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