Salute 12 Dicembre 2025 16:01

Il “revenge porn” non è vendetta, ma mascolinità egemonica in digitale

Uno studio, condotto nel Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, mette in relazione il cosiddetto “revenge porn” con dinamiche sociali e culturali profonde

di Valentina Arcovio
Il “revenge porn” non è vendetta, ma mascolinità egemonica in digitale

La diffusione non consensuale di immagini intime, spesso e impropriamente etichettata come “revenge porn”, è molto più di un atto isolato di ripicca personale. È una delle forme di violenza digitale più pervasive e dannose, e un nuovo studio condotto da Elisa Berlin e Chiara Rollero del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino ne svela la profonda matrice culturale e sociale. Pubblicata sulla prestigiosa rivista Psychology of Men & Masculinities dell’American Psychological Association, la ricerca offre la prima revisione sistematica del legame tra l’adesione alla mascolinità egemonica e la propensione da parte di giovani uomini eterosessuali a diffondere online materiale intimo senza il consenso delle donne.

Immagini intime come “moneta culturale”

Analizzando 19 articoli scientifici internazionali, lo studio smonta l’idea che la NCII sia un fenomeno puramente individuale. Al contrario, ne emerge un forte legame con le norme della mascolinità tradizionale, specialmente all’interno dei contesti omosociali maschili (come chat di gruppo, comunità online e ambienti scolastici). La mascolinità egemonica è definita come quell’insieme di pratiche che perpetua la dominazione maschile sulle donne. È qui che la diffusione non consensuale trova il suo terreno fertile, trasformando il materiale intimo in una vera e propria “moneta culturale”. “I materiali intimi vengono spesso trattati come oggetti di scambio, trofei o prove di conquista sessuale”, spiegano Elisa Berlin e Chiara Rollero. “Ciò contribuisce a consolidare gerarchie di potere e a rinforzare l’idea che il corpo femminile sia una risorsa collettiva a disposizione degli uomini”, aggiungono.

Competizione, dominio e assenza di empatia

Le norme di mascolinità che esaltano competitività, distacco emotivo e dominio sessuale agiscono da catalizzatori per questo tipo di violenza. La diffusione di NCII diventa un rituale di appartenenza, un modo per ottenere status e legittimazione all’interno del gruppo maschile. Questo comportamento è quasi sempre accompagnato da un linguaggio apertamente misogino, da fenomeni di slut-shaming e da una forte svalutazione del consenso femminile. Lo studio evidenzia, infatti, come l’empatia verso le vittime possa essere percepita come una minaccia allo status virile dell’individuo nel gruppo. La partecipazione (attiva o passiva) a questi scambi rafforza la cultura omosociale in cui la dominanza maschile è sostenuta dalla sessualizzazione e oggettivazione delle donne.

Un invito urgente alla prevenzione culturale

Le implicazioni di questa ricerca sono cruciali per la prevenzione. Berlin e Rollero sottolineano l’urgenza di sviluppare interventi educativi specifici che non si limitino a parlare di cyberbullismo, ma che affrontino direttamente il nodo tra mascolinità, potere e sessualità nell’era digitale. Per un cambiamento strutturale, i programmi di prevenzione devono mirare a promuovere modelli di mascolinità non egemonica, basati su empatia, rispetto ed equità di genere; a potenziare l’educazione al consenso digitale e alla privacy sessuale; creare spazi di confronto in cui i giovani uomini possano mettere in discussione le norme e le dinamiche di gruppo dannose. Comprendere che la diffusione non consensuale di immagini intime è un comportamento profondamente radicato nelle dinamiche culturali è il primo passo essenziale per tutelare il benessere psicologico delle vittime e contrastare in modo strutturato una violenza che, soprattutto tra adolescenti e giovani adulti, continua ad assumere proporzioni allarmanti.

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