Il Rapporto CeDAP 2024 del Ministero della Salute fotografa il panorama della nascita in Italia, evidenziando un calo costante della natalità, forti differenze territoriali e sociali e un ricorso ancora elevato al cesareo
In Italia le nascite avvengono in contesti molto diversi tra loro, con forti differenze tra regioni, un ricorso ancora elevato al taglio cesareo e disuguaglianze socio-sanitarie tra madri italiane e straniere. Il Rapporto CeDAP 2024 del Ministero della Salute, analizzando 349 punti nascita, fornisce una fotografia dettagliata del sistema nascita italiano, mostrando come, dove e in quali condizioni avvengono le nascite nel Paese.
Il dato più evidente è il continuo calo della natalità: nel 2024 la diminuzione delle nascite prosegue senza eccezioni in tutte le regioni italiane. Questo declino è legato sia alla progressiva riduzione del numero di donne in età fertile, sia all’aumento dell’età media alla maternità, oltre che a una minore propensione ad avere figli. Anche il contributo demografico delle donne straniere, che per anni aveva rallentato la caduta della natalità, oggi è in riduzione: un segnale ulteriore della difficoltà del ricambio generazionale.
Natalità al minimo storico: Italia spaccata in due
Il tasso di natalità nel 2024 si attesta a 6,3 nati ogni mille donne in età fertile, ma il valore medio nasconde divari profondi. La Sardegna registra appena 4,5 nati ogni mille donne, mentre la Provincia autonoma di Bolzano, storicamente più prolifica, raggiunge 8,4. Le regioni del Centro si collocano tutte sotto la media nazionale, mentre nel Sud emergono alcune eccezioni, come Campania, Calabria e Sicilia, che mantengono livelli relativamente più elevati. La fecondità media, pari a 1,18 figli per donna, resta molto distante dal livello necessario per mantenere stabile la popolazione. Anche qui le differenze territoriali sono forti: il Trentino-Alto Adige e alcune regioni meridionali restano più fertili, mentre Sardegna e Molise continuano a registrare i valori più bassi d’Italia.
Mortalità infantile: miglioramenti lenti e diseguali
Il Rapporto evidenzia un tasso di mortalità infantile pari a 2,5 bambini ogni mille nati vivi, secondo i dati più aggiornati del 2022. La tendenza di lungo periodo è positiva, ma negli anni più recenti il ritmo del miglioramento tende a rallentare. Anche su questo fronte permangono importanti differenze regionali. Il primo mese di vita rimane la fase più delicata: oltre i tre quarti dei decessi infantili avvengono in questo periodo e sono spesso legati a cause endogene, come complicazioni della gravidanza, problemi durante il parto o malformazioni. Nel periodo post-neonatale, invece, entrano in gioco fattori ambientali, condizioni igieniche e situazione socioeconomica della famiglia.
Dove si partorisce
Il 90,7% dei parti avviene in ospedali pubblici o equiparati, mentre le case di cura accreditate accolgono il 9,1% delle nascite. Più del 60% dei parti si concentra in strutture con almeno mille parti l’anno, considerate più sicure ed efficienti, ma l’8,6% avviene ancora in punti nascita molto piccoli, sotto i 500 parti annui. Le differenze territoriali sono evidenti: Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio svolgono oltre il 70% dei loro parti in grandi strutture. Nel Sud, invece, più di un terzo delle nascite avviene in punti nascita medio-piccoli. Il caso del Molise è emblematico: non esistono strutture che superino la soglia dei mille parti annui.
TIN e Neonatologie
La distribuzione delle Terapie Intensive Neonatali e delle Unità Operative di Neonatologia conferma queste differenze. Le TIN sono 116 e la parte più consistente è ospitata dai punti nascita con i maggiori volumi di attività. Alcune, tuttavia, restano collocate in strutture troppo piccole, un dato che solleva questioni di efficienza e sicurezza. I parti pretermine sono 6,11 ogni 100 nati. Nei punti nascita più piccoli risultano percentualmente inferiori, ma ciò riflette la selezione dei casi e non una migliore qualità dell’assistenza.
Chi sono le madri italiane
Nel 2024 una nascita su cinque riguarda una madre straniera, con percentuali particolarmente elevate nel Centro-Nord. Le provenienze più comuni sono africane, asiatiche ed europee. Le italiane diventano madri più tardi rispetto alle straniere: la loro età media è 33,3 anni, mentre tra le donne straniere scende a 31,3. Anche al primo figlio le italiane superano i 31 anni, contro i 29,4 delle straniere. Sul piano dell’istruzione emergono differenze significative: più di un terzo delle madri italiane è laureata, mentre tra le straniere prevale un livello di scolarità medio-basso. Anche il mercato del lavoro evidenzia uno squilibrio: oltre il 60% delle madri italiane è occupato, mentre tra le straniere una su due è casalinga.
La gravidanza: controlli frequenti ma non equi
Quasi tutte le donne effettuano almeno quattro visite di controllo e la maggior parte supera le tre ecografie raccomandate, con una media nazionale di 5,8. Tuttavia, esiste una quota di donne, seppur minima, che non effettua alcuna ecografia. I ritardi nell’avvio dei controlli sono più frequenti tra le donne straniere, quelle con basso livello di istruzione e le più giovani. Anche la distribuzione regionale delle ecografie evidenzia un sovrautilizzo diffuso. L’amniocentesi resta la tecnica invasiva più praticata, in calo rispetto agli anni precedenti grazie alla crescente diffusione dei test prenatali non invasivi.
Il parto: partner quasi sempre presenti, cesarei ancora troppo alti
Nel 94,7% dei parti vaginali è presente il partner, segno di una crescente attenzione all’accompagnamento della donna. Resta però molto elevato il ricorso al taglio cesareo: nel 2024 riguarda il 29,8% dei parti. Le differenze tra pubblico e privato sono notevoli: negli ospedali pubblici il tasso è del 28,3%, mentre nelle case di cura accreditate raggiunge il 44,9%. Le donne italiane ricorrono al cesareo più delle straniere e nei punti nascita più piccoli il ricorso a questa modalità è superiore alla media nazionale. Quanto alla presenza dei professionisti sanitari, l’ostetrica è quasi sempre presente, mentre ginecologi, anestesisti e neonatologi registrano percentuali di presenza variabili in base alla dotazione delle strutture.
La procreazione medicalmente assistita in crescita
Nel 2024 le gravidanze ottenute tramite PMA sono state 15.287, pari al 4,2% del totale. Le tecniche più utilizzate restano la fecondazione in vitro e la ICSI. Le gravidanze da PMA registrano un ricorso al cesareo molto più elevato rispetto alla media, quasi la metà dei casi, e una frequenza di parti plurimi nettamente superiore. La PMA è più comune tra le donne con un livello di istruzione più alto e tra quelle con età superiore ai 35 anni, fino a raggiungere quasi il 20% nelle over 40.
La classificazione di Robson e i margini di miglioramento
L’89,5% dei parti è stato classificato secondo la metodologia di Robson, che consente un confronto standardizzato dell’appropriatezza del ricorso al taglio cesareo. Le classi più numerose sono quelle delle primipare e delle pluripare a termine con presentazione cefalica. La classe delle donne con precedente cesareo incide per quasi il 12% dei parti totali. Le differenze regionali nel ricorso al cesareo, anche nei gruppi a basso rischio, mostrano ampi margini di miglioramento sia dal punto di vista clinico sia organizzativo.
Una sfida duplice per l’Italia
Il Rapporto CeDAP 2024 presenta l’immagine di un Paese in rapido cambiamento: le nascite diminuiscono, l’età materna aumenta, le differenze territoriali e sociali restano marcate e, sebbene l’assistenza sia complessivamente di buon livello, non è garantita in modo uniforme su tutto il territorio. Le sfide per il futuro sono chiare: da un lato sostenere la natalità, dall’altro ridurre le disuguaglianze, affinché nascere in Italia significhi avere le stesse opportunità, indipendentemente dalla regione e dal contesto socioeconomico di appartenenza.
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