ISS: “Servono più test, informazione e PrEP”. Mussini (SIMIT): “La sfida non è vinta”
Un Paese che non arretra, ma neppure avanza quanto potrebbe. È la fotografia che emerge dal nuovo bollettino del Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicato a pochi giorni dalla Giornata Mondiale contro l’AIDS, celebrata il 1° dicembre di ogni anno. Nel 2024 le nuove diagnosi di HIV sono state 2.379, pari a quattro casi per 100mila abitanti: un lieve calo rispetto ai 2.507 del 2023, ma non sufficiente a invertire realmente la rotta, soprattutto alla luce degli strumenti di prevenzione e trattamento oggi disponibili.
Nel 2024 la trasmissione del virus è avvenuta principalmente per via sessuale:
Troppe diagnosi tra i giovani
Preoccupa la quota dei più giovani: circa il 20% delle nuove diagnosi riguarda persone con meno di 29 anni, segnale di un virus che continua a circolare e di una prevenzione che non riesce a intercettare sufficientemente questa fascia di popolazione. Allo stesso tempo, restano molto elevate le diagnosi tardive, che rappresentano il 60% del totale. E l’83,6% delle nuove diagnosi di AIDS riguarda persone che hanno scoperto l’infezione solo nei sei mesi precedenti, quando il virus aveva già compromesso il sistema immunitario. “Rispetto allo scorso anno ci sono 128 casi in meno, ma questa stabilità non deve illuderci – commenta Cristina Mussini, vicepresidente SIMIT -. Oggi abbiamo strumenti potentissimi come la PrEP e il treatment as prevention, che dovrebbero portarci verso un calo molto più marcato. Invece il virus continua a circolare soprattutto tra i giovani, mentre permane un sommerso difficile da intercettare. Servono una comunicazione mirata, formazione nelle fasce più a rischio e un coinvolgimento di tutti gli attori che possono contribuire a un’educazione sessuale e affettiva efficace”.
Con i long-acting migliorano aderenza e qualità di vita
Sul fronte terapeutico, i dati sono rassicuranti: oltre il 95% delle persone in terapia antiretrovirale ottiene la soppressione virale. L’HIV diventa così una condizione cronica controllabile e non trasmissibile (U=U). Ma resta un 5% che fatica ad aderire alla terapia quotidiana. Un limite che le terapie long-acting, somministrate per via intramuscolare ogni due mesi, possono contribuire a superare. La loro introduzione sta cambiando la gestione clinica e la qualità di vita di molte persone. “Le terapie iniettabili a lunga durata d’azione non sono solo un’innovazione clinica – spiega Mussini – ma anche una soluzione meno stigmatizzante rispetto alla terapia orale giornaliera. Permettono una gestione più semplice, aiutano a raggiungere la soppressione virale anche nei casi complessi e migliorano sensibilmente la qualità di vita”.
PrEP: uno strumento efficace che deve essere ampliato
Anche sul fronte della prevenzione si registrano progressi importanti. La Profilassi Pre-Esposizione (PrEP) continua a dimostrarsi altamente efficace. Accanto alla formulazione orale, quotidiana o “on demand”, si affacciano ora le formulazioni long-acting, iniettabili ogni due mesi: studi recenti ne confermano efficacia, tollerabilità e maggiore aderenza. “È auspicabile un ampliamento dell’accesso alla PrEP, sia orale che iniettabile – osserva Mussini -. Serve poterla prescrivere anche fuori dagli ambulatori di malattie infettive, per raggiungere più persone. E la versione iniettabile sarà essenziale per chi non riesce a essere aderente alla PrEP orale”.
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