Uno studio britannico ha scoperto che oltre 150 sostanze chimiche, presenti nei pesticidi o utilizzate nei processi di produzione industriale, possono danneggiare i batteri buoni presenti nell'intestino
Oltre 150 sostanze chimiche, presenti nei pesticidi o utilizzate nei processi di produzione industriale, possono danneggiare i batteri buoni presenti nell’intestino con possibili conseguenze sulla salute e sulla tendenza dei microrganismi a sviluppare resistenza agli antibiotici. È il dato che emerge da uno studio dell’Università di Cambridge pubblicato su Nature Microbiology che ha testato gli effetti di un migliaio di sostanza su 22 comuni batteri intestinali. “Abbiamo scoperto che molte sostanze chimiche progettate per agire solo su un tipo di bersaglio, diciamo insetti o funghi, influenzano anche i batteri intestinali”, ha affermato in una nota la prima firmataria dello studio Indra Roux.
Il contatto dei batteri con alcune sostanze aumenta l’antibiotico-resistenza
“Siamo rimasti sorpresi – continua Roux – che alcune di queste sostanze chimiche avessero effetti così forti. Ad esempio, molte sostanze chimiche industriali come ritardanti di fiamma e plastificanti – con cui siamo regolarmente in contatto – non si pensava che influenzassero affatto gli organismi viventi; invece lo fanno”. Lo studio ha inoltre evidenziato che il contatto dei batteri con alcune di queste sostanze è in grado di selezionare ceppi resistenti ad alcuni antibiotici, come la ciprofloxacina. “Ora che abbiamo iniziato a scoprire queste interazioni in un ambiente di laboratorio, è importante iniziare a raccogliere più dati sull’esposizione chimica del mondo reale, per vedere se ci sono effetti simili nei nostri corpi”, afferma il coordinatore dello studio Kiran Patil.
Possibili conseguenze gravi sulla salute a lungo termine
Sebbene i risultati attuali derivino da esperimenti in laboratorio, gli autori della ricerca sottolineano la necessità urgente di riconsiderare l’esposizione umana a queste sostanze. L’ingestione accidentale, il contatto ambientale o la presenza di residui nei prodotti alimentari potrebbero contribuire a un costante e cronico disquilibrio del microbiota, con conseguenze potenzialmente gravi sulla salute a lungo termine. “I nostri risultati suggeriscono che i programmi di screening chimico e le attuali normative di sicurezza ambientale e alimentare potrebbero non tenere adeguatamente conto di questo effetto secondario“, concludono i ricercatori.
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