Con un semplice sequenziamento del DNA del paziente, popEVE individua e classifica le mutazioni potenzialmente responsabili della malattia, anche se mai osservate prima
Una persona su due affetta da una malattia rara non ottiene mai una diagnosi chiara. È un dato che pesa sulla vita dei pazienti, sulle loro famiglie e sul sistema sanitario, che spesso deve navigare tra esami complessi, referti inconcludenti e lunghi percorsi di esclusione. Ora, uno studio pubblicato su Nature Genetics apre una strada completamente nuova grazie a popEVE, un modello di intelligenza artificiale capace di identificare quali mutazioni nelle proteine umane sono realmente pericolose, anche quando non compaiono in nessun database clinico o genetico. Il modello nasce da un’intuizione potente: sfruttare l’esperimento evolutivo più lungo della storia, quello della vita sulla Terra. Usando dati provenienti da centinaia di migliaia di specie e combinandoli con la variabilità genetica umana, popEVE “impara” quali zone delle proteine sono essenziali e intoccabili, e quali possono tollerare modifiche innocue.
Come funziona popEVE
Ogni persona porta nel proprio genoma migliaia di varianti genetiche. La maggior parte è innocua, altre invece può causare malattie gravi, talvolta mortali. Il problema? Capire quali mutazioni siano davvero dannose non è per nulla semplice, soprattutto quando non esiste nessun altro caso clinico simile con cui confrontarsi. Gli strumenti esistenti predicono spesso se una mutazione è “probabilmente patologica”, ma raramente riescono a dire quanto lo sia e non permettono un confronto tra geni diversi. popEVE cambia completamente approccio:
Per i clinici significa avere, per la prima volta, una mappa delle varianti dal più innocuo al più potenzialmente devastante, senza bisogno del DNA dei genitori o della famiglia, un vantaggio enorme nei sistemi sanitari dove il tempo e le risorse sono limitate.
La prova sul campo: 31mila famiglie e un’accuratezza del 98%
Per testare popEVE, i ricercatori hanno analizzato i genomi di 31mila famiglie con bambini colpiti da gravi disturbi dello sviluppo. Il risultato è sorprendente: nel 98% dei casi, popEVE ha identificato correttamente la mutazione responsabile, ha superato modelli d’avanguardia come AlphaMissense di DeepMind e ha individuato 123 nuovi geni potenzialmente associati a malattie dello sviluppo. Di questi, 104 erano presenti in uno o due pazienti, casi troppo rari per qualunque metodo tradizionale. Molti dei nuovi geni sono attivi nel cervello in sviluppo e interagiscono fisicamente con proteine già note per il loro ruolo in malattie neurodevelopmentali. Un risultato che gli autori definiscono “un cambio di paradigma nella genetica clinica”.
Un algoritmo più equo: meno falsi allarmi per i pazienti non europei
Una nota importante, spesso trascurata: la maggior parte dei database genetici mondiali contiene soprattutto dati di persone con ascendenza europea. Questo porta altri strumenti a segnalare come “potenzialmente pericolose” varianti semplicemente sconosciute, non perché davvero dannose. popEVE, invece, considera allo stesso modo tutti i varianti umani, senza penalizzare chi appartiene a popolazioni meno rappresentate. “Nessuno dovrebbe ricevere un risultato allarmante solo perché la sua comunità è poco presente nei database – afferma Jonathan Frazer del CRG -. popEVE aiuta a correggere questa distorsione”.
Non è un oracolo, ma un nuovo strumento nelle mani dei clinici
Gli autori sottolineano che popEVE:
Il suo potenziale è, dunque, evidente: diagnosi più rapide, meno esami inutili, maggiore precisione e una nuova capacità di individuare geni malattia mai descritti prima.
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