Uno studio pubblicato su Radiology dall’Università di San Sebastián, in Cile, ha identificato le aree cerebrali che si attivano quando assistiamo alle partite della nostra squadra del cuore
Il calcio e, soprattutto la “squadra del cuore”, rappresentano un fenomeno globale che va ben oltre lo sport. Dalla semplice passione alla devozione più accesa, i comportamenti dei tifosi offrono un terreno fertile per indagare come il cervello reagisce all’appartenenza sociale e alla competizione. Tuttavia, i meccanismi neurobiologici che regolano l’identità di gruppo in contesti competitivi erano finora poco chiari. Per colmare questa lacuna, un gruppo di ricercatori dell’Universidad San Sebastián di Santiago del Cile, guidato dal biologo Francisco Zamorano, ha condotto uno studio pionieristico pubblicato su Radiology, la rivista della Radiological Society of North America (RSNA).
Quando il cervello “tifa”
Tra il 2019 e il 2022, il team cileno ha arruolato 61 uomini tra i 20 e i 45 anni, tifosi di due storiche squadre rivali. Il loro grado di fanatismo è stato misurato tramite la Football Supporters Fanaticism Scale, che distingue tra spettatori, fan e fanatici. Durante la risonanza magnetica funzionale (fMRI), i partecipanti hanno guardato 63 sequenze di gol tratti da partite della propria squadra, della rivale e di squadre neutre. I ricercatori hanno confrontato l’attività cerebrale durante una “vittoria significativa” (quando la squadra del cuore segna contro la rivale) e una “sconfitta significativa” (quando è la rivale a segnare).
Ricompensa, identità e controllo
Le immagini cerebrali hanno mostrato che una vittoria contro la rivale storica attiva fortemente il ventral striatum e la corteccia prefrontale mediale, aree legate all’elaborazione della ricompensa e al rafforzamento dell’identità sociale. Si attiva anche la fusiform face area, implicata nel riconoscimento visivo dei volti familiari, a conferma del legame empatico e di appartenenza. In caso di sconfitta, invece, si attivano aree del cervello legate alla mentalizzazione (come il precuneus e le regioni visive), mentre la corteccia cingolata anteriore dorsale mostra una riduzione di attività. Questo suggerisce una minore capacità di controllo cognitivo e regolazione emotiva, cioè la difficoltà di gestire la frustrazione e la rabbia.
Un modello per capire il fanatismo
“Studiare il fanatismo è importante – spiega Zamorano – perché rivela meccanismi neurali generalizzabili che possono spaziare dalla passione da stadio alla polarizzazione, fino alla violenza e ai danni alla salute pubblica a livello di popolazione. Questi circuiti si formano nella prima infanzia: la qualità delle cure, l’esposizione allo stress e l’apprendimento sociale modellano l’equilibrio tra valutazione e controllo che in seguito rende gli individui vulnerabili al fascino del fanatismo”. Secondo gli autori, proteggere il periodo dell’infanzia è la strategia di prevenzione più efficace. Le società che trascurano lo sviluppo precoce, conclude Zamorano, “non evitano il fanatismo, ne ereditano i danni”.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato