Contributi e Opinioni 18 Settembre 2025 19:00

Infermieri troppi o troppo pochi: il pericolo delle letture istantanee

Dal mito della saturazione al rischio desertificazione: la carenza infermieristica non si misura coi titoli, ma con una visione capace di guardare al domani
di Nicola Draoli, Comitato Centrale FNOPI
Infermieri troppi o troppo pochi: il pericolo delle letture istantanee

Alla caserma Gonzaga di Foligno è in corso un maxi concorso per infermieri: tremila candidati per 124 posti disponibili nelle aziende sanitarie umbre, alle prese con i problemi legati a turn over e trasferimenti. La maggior parte dei partecipanti è giovane, il 60% sotto i trent’anni, in prevalenza donne, provenienti da Umbria, Lazio e Toscana (1).

Uno scenario che richiama alla memoria quanto accadeva poco prima della pandemia, quando concorsi altrettanto affollati alimentavano la convinzione (sbagliata) che noi infermieri fossimo “troppi”. Una convinzione tanto diffusa da trasformarsi in mobilitazione pubblica: nel 2016 nacque una petizione dal titolo eloquente, “Pochi posti di lavoro e troppi infermieri” (2). In quel testo si denunciava come per un singolo posto nei concorsi si presentassero migliaia di domande, si criticavano prove preselettive con quesiti ritenuti poco pertinenti (logica, cultura generale, storia dell’arte invece che clinica, farmacologia, assistenza), si contestavano tasse di iscrizione e criteri di residenza che penalizzavano i candidati. La narrazione che ne usciva era chiara: “siamo troppi, non c’è spazio per tutti”.

Eppure quella percezione era fuorviante. I numeri erano gonfiati da iscrizioni multiple: gli infermieri, dopo anni di blocco del turn over, si iscrivevano a decine di concorsi in giro per l’Italia. Non era segno di saturazione, ma della mancanza di occasioni di lavoro stabili. Un bisogno reale, ma interpretato con la lente sbagliata. Ricordo bene quel periodo perché fui attaccato, insieme ad altri, sui soliti social qualunquisti e “benealtristi”, quando facevo notare che non eravamo affatto troppi. Il motivo della rabbia era evidente: logiche opportunistiche e individualiste, del tutto comprensibili, ma incuranti di una visione generale.

Oggi la discussione si ripete a parti inverse. L’ultima rilevazione FNOPI (3) ha mostrato una flessione delle iscrizioni ai test di infermieristica. Subito titoli e commenti hanno parlato di “crollo”. Sui social, molti colleghi hanno espresso rabbia che si traduce nello slogan “nessuno vuole più fare l’infermiere”. Ma questo delegittima in qualche modo  20.000 aspiranti professionisti, e non tiene conto che nel 2001 erano 14.000. E attenzione: questo non significa che noi infermieri siamo abbastanza e soprattutto non significa che le cose vadano bene. Gli infermieri mancano. La professione va resa attrattiva.  Ma non si può tradurre in “nessuno lo vuole più fare”. Serve lucidità e visione ampia.

La programmazione sanitaria deve guardare al futuro, non solo all’oggi. Finché ci limitiamo a rincorrere emergenze contingenti, rischiamo di creare danni futuri. Non a caso la narrazione semplicistica del “mancano medici”  sicuramente produrrà una nuova pletora di camici bianchi e non sono io a dirlo(4). La fotografia di allora era sbagliata, e anche quella di oggi non racconta la verità di fondo.

La carenza infermieristica non va letta solo alla luce delle domande di oggi, ma di ciò che vogliamo garantire domani. E il futuro ci dice chiaramente alcune cose:

  • Gobba pensionistica: nei prossimi anni migliaia di infermieri usciranno dal servizio. È una certezza già calendarizzata.
  • Mutamento dei valori sociali: per le nuove generazioni il “posto pubblico” non è più sufficiente. Servono condizioni di lavoro dignitose, possibilità di crescita, politiche di retention. Un tempo superflue, oggi imprescindibili. È inutile chiedere concorsi se il pubblico non cambia volto.
  • Riforma territoriale: l’assistenza si sposta su prossimità, domiciliarità e cronicità. La domanda di infermieri cresce, ma cambia. Non basta proiettare linearmente i numeri del passato: bisogna chiedersi che tipo di assistenza infermieristica vogliamo e dove.
  • Skill mix: l’assistenza ha bisogno di essere stratificata, di più figure che rispondano a bisogni differenti così da liberare i laureati e laureati magistrali in Infermieristica per i contesti dove la loro professionalità è insostituibile. Ovvero: pianificazione assistenziale, educazione sanitaria, progetti di continuità, gestione dei rischi,  prescrizioni di interventi , misurazione degli esiti così da rendere per altro finalmente pienamente attuativo il profilo professionale
  • Revisione normativa sulle politiche di reclutamento. Oggi non abbiamo più certezza matematica del numero di professionisti infermieri che garantiremo perché come stiamo vedendo i numeri dei candidati all’università sono sempre parziali, non tengono conto degli abbandoni (Paradossalmente per altro, proprio oggi potrebbe essere più utile selezionare con maggiore attenzione la formazione, vista l’assenza di filtri regolatori a monte) e soprattutto non abbiamo la certezza che i laureati scelgano il sistema pubblico, scelgano l’Italia o anche banalmente scelgano alcune aree interne e disagiate. Per questo anche le modalità concorsuali sono diventate obsolete e non garantiste.

Qui sta la vera lezione: noi infermieri serviamo oggi come servivamo ieri, ma serviamo in modo diverso oggi e serviremo in modo diverso domani. Non funziona più la logica incrementale e quella tra usciti e entrati: serve una ridefinizione qualitativa del fabbisogno e capire se serve più infermieristica o più infermieri. Serve capire come immettere nel sistema pubblico l’infermiere giusto nel posto giusto e non “un” infermiere.

Ieri, concorsi affollati hanno alimentato la retorica della saturazione. Oggi, cali negli iscritti ai test alimentano la retorica della desertificazione. In entrambi i casi, sono slogan che distorcono la realtà.

E i social hanno un ruolo cruciale in questa distorsione: ieri rabbia per l’impossibilità di entrare, oggi rabbia per la mancanza di candidati.

Questo è il vero pericolo: se il dibattito resta confinato al qui e ora, i decisori politici rischiano di inseguire il consenso immediato, non di costruire strategie. Ma la programmazione sanitaria non può dipendere dal flusso dei commenti social.

Se c’è una lezione da trarre è chiara: per programmare servono dati prospettici, strumenti di analisi di sistema, politiche di attrattività e valorizzazione. Solo così eviteremo di oscillare, a distanza di pochi anni, tra il grido dei “troppi” e quello dei “troppo pochi”. Perché noi infermieri non siamo mai stati troppi o troppo pochi. Siamo sempre stati solo e semplicemente necessari là dove, però, siamo davvero necessari.

 

Fonti:
(1) Nurse24 – Maxi concorso Foligno
(2) Nurse Times – Petizione “Pochi posti di lavoro e troppi infermieri”
(3) FNOPI – Test infermieristica 2025
(4) FNOMCeO – 2030, l’anno di una nuova pletora medica

 

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