Un conto da 261mila euro. È questo l’ammontare della salatissima richiesta che cinque orafi di Arezzo si sono visti recapitare da un istituto di credito in seguito al fallimento della società di cui erano anche fideiussori. Una somma enorme che, com’è ovvio, i diretti interessati non avevano assolutamente alcuna voglia di pagare, anche perché ritenuta […]
Un conto da 261mila euro. È questo l’ammontare della salatissima richiesta che cinque orafi di Arezzo si sono visti recapitare da un istituto di credito in seguito al fallimento della società di cui erano anche fideiussori. Una somma enorme che, com’è ovvio, i diretti interessati non avevano assolutamente alcuna voglia di pagare, anche perché ritenuta ingiusta per diversi motivi: interessi usurari, nullità contrattuali, nullità nella commissione di massimo scoperto e nullità per anatocismo bancario.
Per questo i cinque hanno impugnato il decreto ingiuntivo della banca. I tribunali hanno poi dato ragione ai soci, che tra il primo e il secondo grado di giudizio hanno ottenuto uno “sconto” dell’85%, riuscendo a far ridurre la pretesa creditizia prima a 169mila euro, poi a “soli” 40mila euro. Nel frattempo, essendo trascorsi dieci anni dalla vicenda, l’efficacia del decreto ingiuntivo è venuta meno e con essa l’obbligo di corrispondere la somma. A questo punto, chiusa la vicenda con una vittoria, gli artigiani avrebbero potuto metterci una pietra sopra e guardare avanti. Subire un caso di anatocismo bancario non è né semplice né piacvole. Hanno però deciso di passare al contrattacco e, insieme ai loro legali, stanno preparando il ricorso in Cassazione, con il quale chiedono che venga riconosciuto il loro diritto di credito nei confronti della banca, per un ammontare complessivo di 300mila euro più interessi. I legali non escludono inoltre di portare la sentenza presso la procura della Repubblica «per chiedere di verificare se ci siano accertamenti penali da fare». A prescindere dall’esito positivo della vicenda, resta da chiedersi cosa sarebbe accaduto se i protagonisti, come troppo spesso accade, avessero pagato l’intera somma richiesta dalla banca senza imbarcarsi nella lunga e costosa vicenda giudiziaria, che peraltro non è ancora giunta a termine.