Salute 18 Dicembre 2019 08:30

Tumori, svolta con le terapie ‘agnostiche’. Vella: «Con immunoterapia e farmaci mirati aumenta sopravvivenza e diminuisce tossicità»

Alcuni degli oncologi più importanti d’Italia si sono dati appuntamento a Roma al convegno “Le terapie oncologiche agnostiche. La nuova frontiera nella lotta ai tumori”. Il Vice Ministro Sileri: «Queste terapie sono una vera rivoluzione nel trattamento dei pazienti oncologici laddove è dimostrata una alterazione genetica comune»

Il termine “terapie agnostiche” può trarre in inganno. Ma non si tratta di una questione religiosa. Parliamo invece di una delle ultime frontiere della lotta al cancro, cioè quelle terapie che hanno come bersaglio le mutazioni genetiche e prescindono dall’organo e/o dalla struttura di origine. E che, almeno per la parte dell’immuno-oncologia, dobbiamo al lavoro dei Premi Nobel per la Medicina James Allison e Tasuku Honjo che con i loro studi hanno permesso di capire come funzionano alcuni meccanismi del sistema immunitario e hanno aperto la via a queste terapie rivoluzionarie.

Un cambiamento quasi filosofico nella lotta al tumore che però non vede ancora al passo con i tempi gli organismi regolatori. Di tutto questo si è parlato al convegno “Le terapie oncologiche agnostiche. La nuova frontiera nella lotta ai tumori”, che ha avuto luogo nella Sala Zuccari del Senato, promosso dall’Osservatorio Nazionale per i Diritti dei Malati, con il patrocinio del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità.

LEGGI ANCHE: CONGRESSO AIOM, FOCUS SUL TUMORE AL SENO. LUCA GIANNI (SAN RAFFAELE): «L’IMMUNOTERAPIA HA RISULTATI SU CANCRO METASTATICO»

Padrone di casa Stefano Vella, già presidente dell’AIFA, oggi professore all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. «Le terapie agnostiche sono delle terapie che attaccano il tumore non in base alla sua localizzazione oppure al suo aspetto istologico ma o in base al meccanismo di azione, per esempio le terapie monoclonali come l’immunoterapia che attaccano tutti i tumori con lo stesso meccanismo di azione, o con dei farmaci più chimici mirati a dei recettori scoperti grazie alla biologia molecolare che le cellule tumorali. Potremmo definirli delle targhe: questi farmaci attaccano le targhe indipendentemente dalla macchina e quindi diciamo che sono ‘pantumorali’: chiunque abbia quella targa viene attaccato. È una novità anche dal punto di vista regolatorio perché l’approvazione di un farmaco che funziona su tanti tumori è un procedimento nuovo. Ma anche dal punto di vista clinico per cui oggi la terapia dei tumori viene basata sulla diagnostica molecolare oltre che sull’istologia e sulla localizzazione, che comunque sono necessarie. È sicuramente una novità concettuale».

La tavola rotonda ha visto la partecipazione di alcuni dei più importanti clinici in materia: da Francesco Cognetti, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma a Giovanni Scambia, Ordinario di Ginecologia e Ostetricia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, da Michele Maio, Direttore del centro di Immuno-Oncologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Siena a Walter Ricciardi, Chairman del “Mission Board on Cancer” della Commissione europea. Tra i relatori anche numerosi politici: Maria Rizzotti e Paola Binetti, Forza Italia, entrambe nella Commissione Sanità del Senato, e il Vice Ministro alla Salute Pierpaolo Sileri.

«È una vera rivoluzione nel trattamento dei pazienti oncologici laddove è dimostrata una alterazione genetica comune – sottolinea Sileri -. Si tratta di diversi tumori che istologicamente sono diversi ma geneticamente hanno una proprietà comune che però consente di essere attaccata attraverso un farmaco ben definito». Sileri ha poi voluto ribadire che «è necessario avere quanti più studi possibile per valutare l’efficacia di una terapia. Quando vi è un nuovo farmaco che consente una terapia innovativa credo che soprattutto all’inizio sia necessario andare incontro agli agenti regolatori per poter anche regolare meglio l’efficacia su campioni più ampi e anche la potenzialità del farmaco stesso».

Enormi le potenzialità di questo tipo di terapie. Quando il professor Michele Maio ha mostrato i risultati dell’immunoterapia su una paziente affetta da tumore mammario, con regressione della malattia ben visibile a distanza di qualche anno, è apparso evidente come la lotta al cancro sia a un punto di svolta. Sullo sfondo restano anche delle problematiche: serve velocità da parte delle istituzioni nel riconoscere la validità di queste terapie e, in secondo luogo, le autorità devono garantire a tutti l’accesso a questi farmaci che invece resta ancora molto a macchia di leopardo non solo tra est e ovest d’Europa ma anche tra nord e sud dell’Italia.

«Una delle critiche che è stata fatta alle terapie dei tumori è che c’erano troppi farmaci che davano poco – spiega Stefano Vella -. Ma poco è un concetto relativo. Sei mesi di vita per una persona che ha nipoti sono importanti. A lungo però i progressi sono stati lenti. Oggi invece stiamo vedendo delle sopravvivenze importanti, qualità di vita importante, tossicità inferiori perché le terapie sono mirate, non come la vecchia chemio che distrugge tutto come la bomba atomica. Alcuni farmaci della vecchia chemio rimarranno ma associati a dei farmaci che sono molto più mirati verso quella singola cellula e non dovrebbero dare fastidio ad altre cellule dell’organismo e quindi essere molto più mirati».

Le terapie agnostiche sono dunque il futuro della cura contro i tumori perché forniranno a ogni paziente nuove e più efficaci chance di guarigione. Ma sono destinate a cambiare anche il modo di fare sperimentazione. Gli studi clinici saranno sempre di più “basket trials”: valuteranno l’efficacia di un farmaco specifico in pazienti con tumori a localizzazione diversa ma caratterizzati dalla stessa alterazione genomica. Questi studi permetteranno da un lato a persone con diversi tipi di cancro di partecipare allo stesso studio clinico e dall’altro di velocizzare la valutazione di farmaci anche su tumori rari o su tumori con mutazioni rare.

Articoli correlati
Linfoma follicolare, studio italiano “promuove” combo di due immunoterapici
Due farmaci immunoterapici sono meglio di uno, anche per le forme di linfoma più difficili da trattare. Uno studio multicentrico tutto italiano, condotto dalla Fondazione Italiana Linfomi, coordinato dall’IRCCS di Candiolo e dall’Ematologia ospedaliera delle Molinette di Torino, ha evidenziato che la combinazione di rituximab e lenalidomide rappresenta una valida opzione terapeutica per i pazienti con linfoma follicolare recidivante/refrattario. I risultati del lavoro sono stati presentati al 65esimo meeting annuale dell’American Society of Hematology (ASH), che si conclude oggi a San Diego (USA)
Melanoma: con immunoterapia pre-intervento 50% dei pazienti non ha bisogno di cure post
Da “ultima spiaggia” a terapia di prima scelta. Nel giro di pochissimi anni l’immunoterapia ha fatto un enorme salto di qualità tanto che oggi i clinici chiedono di estendere il ricorso ai cosiddetti inibitori dei checkpoint immunitari anche per la terapia neoadiuvante, cioè al trattamento prima dell’intervento chirurgico
Nella carne rossa e nei latticini si cela un nutriente che potenzia l’immunoterapia contro il cancro
Uno studio dell'Università di Chicago ha scoperto che nella carne e nei latticini provenienti da animali da pascolo come mucche e pecore, si cela un nutriente, l’acido trans-vaccenico (TVA), che l’organismo umano non può produrre da solo e che potrebbe essere in grado di rafforzare la risposta immunitaria contro il cancro, oltre che a potenziare l’efficacia dell’immunoterapia
Tumori: test genomici sottoutilizzati e gravi disparità regionali, 14 punti per ridefinire gli standard
Una ricerca condotta da Cipomo con il contributo di Cergas SDA Bocconi, ha rilevato gravi disparita regionali in Italia nell'accesso e nell'organizzazione dell'oncologia di precisione
di V.A.
Tumori: 60% delle strutture poco connesse al territorio. Cipomo: “Più sinergia per presa in carico del paziente”
Iperspecializzate, multidisciplinari ma ancora poco "connesse" con il territorio. È l’identikit delle strutture di oncologia medica italiane. Pur inserite all’interno di un dipartimento oncologico (67%), le strutture soffrono negli aspetti organizzativi interni e nella gestione del percorso del paziente dall’ospedale al territorio. Meno della metà (circa 40%) ha una connessione strutturata con i dipartimenti di prevenzione primaria e secondaria e con centri screening; una cartella informatizzata manca nel 66% delle strutture, ed è condivisa con il territorio solo nell’8% dei casi. Sono questi alcuni dati preliminari di un'indagine che il Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (Cipomo) ha presentato al congresso dell'Aiom
di V.A.
GLI ARTICOLI PIU’ LETTI
Advocacy e Associazioni

Mieloma multiplo. Aspettativa di vita in aumento e cure sul territorio, il paradigma di un modello da applicare per la prossimità delle cure

Il mieloma multiplo rappresenta, tra le patologie onco-ematologiche, un caso studio per l’arrivo delle future terapie innovative, dato anche che i centri ospedalieri di riferimento iniziano a no...
Salute

Parkinson, la neurologa Brotini: “Grazie alla ricerca, siamo di fronte a una nuova alba”

“Molte molecole sono in fase di studio e vorrei che tutti i pazienti e i loro caregiver guardassero la malattia di Parkinson come fossero di fronte all’alba e non di fronte ad un tramonto&...
di V.A.
Advocacy e Associazioni

Oncologia, Iannelli (FAVO): “Anche i malati di cancro finiscono in lista di attesa”

Il Segretario Generale Favo: “Da qualche anno le attese per i malati oncologici sono sempre più lunghe. E la colpa non è della pandemia: quelli con cui i pazienti oncologici si sco...