Salute 9 Giugno 2020 18:02

Rebus idrossiclorochina: arma anti-Covid o farmaco pericoloso? L’inchiesta di Sanità Informazione

Dopo lo studio ritirato da Lancet, l’OMS ha riavviato i test clinici. In Italia aumentano i medici che sperano nel farmaco e chi l’ha usata ‘sul campo’ la promuove. Cauda (Gemelli): «Può avere effetti collaterali ma i dati sulla mortalità non convincono». Cavanna: «Senza vaccino è indispensabile contro il Sars-CoV-2». Ma AIFA non ritira la sospensione dell’utilizzo off-label del farmaco

Rebus idrossiclorochina: arma anti-Covid o farmaco pericoloso? L’inchiesta di Sanità Informazione

“Retracted”. La scritta rossa (in italiano “ritirato”) copre quasi come un cerotto tutte le pagine dello studio pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet che bocciava l’idrossiclorochina, il farmaco vecchio oltre ottant’anni tornato prepotentemente alla ribalta come possibile arma contro il Covid-19.

Le speranze nel farmaco antimalarico, lanciato in questi mesi prima dai cinesi e poi dagli studi del medico francese Didier Raoult, sono infatti improvvisamente crollate il 29 maggio, in seguito alla pubblicazione dello studio secondo cui l’idrossiclorochina non solo non avrebbe effetti benefici, ma potrebbe addirittura essere dannosa. L’eco mondiale dei risultati della ricerca ha quindi indotto l’Organizzazione Mondiale della Sanità a sospendere i test clinici. Poi, un’inchiesta del Guardian e la protesta di scienziati da tutto il mondo hanno ribaltato la situazione: è emerso che i dati su cui si basava lo studio erano stati forniti da una piccola azienda, Surgisphere, che, dall’inizio della pandemia di Covid-19, ha prodotto una serie di studi senza mai spiegare l’origine né la metodologia utilizzata. Tre dei quattro autori dello studio avevano tentato di condurre una ricerca indipendente, ma Surgisphere non ha consentito l’accesso a tali informazioni menzionando accordi di confidenzialità con i clienti. Una decisione che ha reso inevitabile il ritiro dello studio.

Anche in Italia il paper ha provocato stupore nella comunità scientifica, considerando che il farmaco è usato in campo reumatologico anche per periodi molto prolungati ed esiste quindi ampia esperienza clinica riguardo alla sua tollerabilità.

Roberto Cauda, infettivologo del Policlinico Gemelli, in uno studio del 2003 redatto con Andrea Savarino e Antonio Cassone, aveva già ipotizzato che il farmaco potesse avere “una seconda giovinezza” e che potesse essere una valida arma contro la Sars «per la sua azione aspecifica antivirale che riduce la replicazione virale e al tempo stesso per l’effetto immonomodulante sul sistema immunitario». L’epidemia di Sars però durò lo spazio di una estate e non fu possibile verificare sul campo la validità di questa teoria. Sono stati poi ricercatori cinesi a ‘ripescare’ la clorochina e a dimostrare prima in laboratorio e poi in alcuni studi iniziali l’utilità del farmaco contro il Covid-19.

«La cosa che ha stupito di più dello studio apparso sul Lancet era l’elevata mortalità in chi aveva preso la clorochina: oggi il farmaco è usato soprattutto per le malattie reumatiche in tanti pazienti di tutto il mondo e questa mortalità non si era mai vista. Ha degli effetti collaterali importanti a livello cardiaco, come le aritmie, e va somministrata con grande cautela, monitorando la funzionalità cardiaca in soggetti cardiopatici e persone avanti con gli anni. Ma questi risultati mi hanno stupito» spiega a Sanità Informazione il professor Cauda.

«Lo studio apparso sul Lancet aveva a suo favore la grandezza del campione. Ma è uno studio con molti difetti – sottolinea Luigi Cavanna, oncologo di Piacenza che ha conquistato la copertina del Time per il suo modello di contrasto al virus ‘casa per casa’ -. È come se noi analizzassimo le schede di dimissioni ospedaliere: si possono ricavare dei dati orientativi, ma non possono essere utilizzati per una ricerca scientifica. Dopo che l’OMS ha bloccato le sperimentazioni, altri enti regolatori nazionali come quello francese e quello italiano si sono adeguati vietandolo nella pratica clinica. Io dico che è stata un fortuna che la decisione sia arrivata a fine maggio. Oggi i malati gravi sul territorio sono molto rari. Ma se fosse arrivata un mese e mezzo prima sarebbe stato veramente un dramma».

«Quello di Lancet è uno studio retrospettivo, ma ora serve uno studio prospettivo. Si stabilisce chi deve entrare e chi no. Gli studi prospettivi hanno un valore maggiore di quelli retrospettivi», aggiunge ancora Cauda che ha aderito allo studio internazionale Solidarity attraverso cui si cercherà di fare chiarezza una volta per tutte. «Non credo che la clorochina possa essere il farmaco di eccellenza per combattere il Covid-19, non l’ho mai detto né pensato. Ma in alcune situazioni ha certamente aiutato. Ci cono due fasi nel Covid-19: nella fase iniziale prevale la replicazione del virus, nella fase successiva c’è l’infiammazione che può dare embolia. Nella seconda fase i farmaci che bloccano la risposta infiammatoria o che riducono l’embolizzazione, come l’eparina, si sono rivelati utili più come sintomatici che come farmaci specifici. Ma non abbiamo ancora l’antivirale specifico per il Covid-19. La clorochina non è il ‘proiettile magico’, ma data precocemente e al dosaggio giusto, in modo che non sia tossica, può avere qualche chance antivirale. È chiaro che se viene somministrata a soggetti molto avanzati, più gravi, cardiopatici, non solo si rivela inutile ma è anche dannosa».

Molto più positivo sulla sua utilità è invece Luigi Cavanna, che sta lavorando a uno studio sui malati Covid-19 di Piacenza a cui è stata somministrata l’idrossiclorochina. «Faremo uno studio retrospettivo per valutare in modo scientifico che effetti collaterali abbiamo avuto – annuncia Cavanna -. Tutti i medici con cui ho parlato mi hanno detto di non aver avuto effetti collaterali clinicamente rilevanti. Naturalmente un conto è dirlo, un conto è dimostrarlo a livello scientifico. Io spero che in un paio di mesi potremo scrivere questi risultati su un numero rilevante di pazienti. L’Agenzia Italiana del Farmaco dovrà tenerne conto».

Cavanna contesta anche la frequenza degli effetti collaterali del farmaco. «Tra gli effetti collaterali viene segnalata l’aritmia ventricolare a torsione di punta. È una aritmia grave, severa, che comporta lo svenimento del paziente e poi la morte. Di questi casi a Piacenza non ne abbiamo avuto nemmeno uno e io penso che abbiamo trattato almeno un migliaio di pazienti».

Anche per questo Cavanna chiede che lAIFA riveda la scelta di sospendere l’autorizzazione all’utilizzo off-label del farmaco al di fuori degli studi clinici. Per il momento però l’Agenzia del Farmaco, nonostante il ritiro dello studio del Lancet, ha fatto sapere che la scelta non verrà rivista.

«Anche il lavoro pubblicato sul New England Journal of Medicine – continua Cavanna – conclude che alla fine non c’era differenza tra placebo e antivirale. Ma attenzione, era stato somministrato tardivamente, 10-12 giorni dai primi sintomi, mentre è fondamentale intervenire nei primi giorni. Tuttavia un sottogruppo che l’aveva presa più precocemente ha una prognosi più favorevole. Se noi andiamo a tirar fuori quei malati già pubblicati in cui la terapia è fatta più precocemente la prognosi cambia. Io l’ho toccato con mano su qualche centinaio di pazienti trattati, di questi nessuno è morto e i pochi andati in ospedale sono tornati a casa in pochi giorni».

Ora i malati positivi che arrivano a Piacenza sono per fortuna paucisintomatici o poco gravi e dell’idrossiclorochina Cavanna non ha avuto più bisogno. «Ma – conclude – dobbiamo far di tutto per avere l’idrossiclorochina di nuovo disponibile in autunno, in vista di una possibile seconda ondata. Finché non c’è il vaccino l’idrossiclorochina deve essere disponibile per i medici».  

La posizione di Cavanna è la stessa che ha spinto un gruppo di 80 medici italiani a scrivere a Lancet contestando lo studio poi ritirato. Lo stop all’uso dell’idrossiclorochina mette «a rischio la vita di migliaia di potenziali pazienti e la ripresa economica di quasi tutti i Paesi del pianeta», si legge nella missiva.

Secondo questi medici «il largo uso che si è fatto nel mondo di idrossiclorochina unitamente alla azitromicina, nei pazienti al primo stadio di malattia, ha permesso di salvare loro la vita (Cina, Corea del Sud, Mauritius, Germania, alcune regioni dell’Italia e tanti altri Paesi e regioni nel mondo)».

Anche Mauro Rango, tra i promotori dell’iniziativa, chiede che AIFA torni sulla sua decisione: «228 milioni di persone con malaria al mondo usano per anni idrossiclorochina senza effetti avversi che si differenzino dall’uso cronico di tanti altri farmaci – spiega -. Cinque milioni di persone con lupus eritematosus sistemico, lupus discoide e Sindrome di Sjögren la usano. Molti per più di venti anni. 73 anni (dal 1947) di uso farmaceutico continuo nel mondo».

I medici hanno contestato la popolazione di pazienti inclusa nello studio, che comprendeva anche cardiopatici, persone affette da malattia coronarica e pazienti affetti da insufficienza cardiaca. «Come mai – si chiedono – alcuni medici di quegli ospedali testati hanno somministrato questo farmaco a pazienti cardiopatici, quando gli effetti letali su questa tipologia di malati è acclarata?».

Nonostante questo AIFA fa sapere che non intende cambiare la sua scelta, almeno per il momento. Una scelta prudenziale, visti gli importanti effetti collaterali del farmaco. Tuttavia non è vietato prescrivere l’idrossiclorochina: i medici di Medicina Generale che vogliono prescriverla possono farlo, ma ora il farmaco non è più rimborsabile (anche se costa pochissimo); la prescrizione però è sotto la responsabilità professionale dei medici di famiglia.

La scelta di AIFA, che ha comunque assicurato il proseguimento degli studi già approvati sul farmaco, non sarebbe legata tuttavia allo studio pubblicato su Lancet e alla seguente decisione dell’OMS. L’Italia – fanno sapere da AIFA – non partecipa nemmeno agli studi Solidarity dell’OMS: non ha mai partecipato al ‘braccio’ sull’idrossiclorochina, perché l’Italia ha ritenuto che i dosaggi fossero troppo alti.

Secondo AIFA, visti i potenziali effetti collaterali, è giusto che i pazienti ai quali viene somministrata l’idrossiclorochina siano sotto stretto e continuo controllo medico e non restino a casa. Quel che è certo è che i colpi di scena su questo vecchio farmaco non sono finiti.

 

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