Salute 23 Ottobre 2018 11:11

Puericultrici, un mestiere in via di estinzione. Silvana Parisi: «Mamme hanno bisogno di aiuto come 80 anni fa. Servono percorsi di laurea ad hoc»

La presidente dell’associazione Puericultrici italiane: «Italia imiti i modelli virtuosi di Francia e Nord Europa creando percorsi di laurea ad hoc, triennali e quinquennali. Si promuova l’assistenza domiciliare gratuita o cofinanziata dallo Stato per tutte le neomamme»

di Isabella Faggiano
Puericultrici, un mestiere in via di estinzione. Silvana Parisi: «Mamme hanno bisogno di aiuto come 80 anni fa. Servono percorsi di laurea ad hoc»

Era il 19 luglio del 1940 quando, con la legge n. 1098, il re Vittorio Emanuele III stabiliva l’obbligo di seguire una formazione riconosciuta a livello istituzionale per chiunque volesse svolgere “l’arte ausiliaria di puericultrice”. E a distanza di quasi ottant’anni è tutto fermo, o quasi. «Nonostante alcuni tentativi di adeguamento professionale – ha spiegato Silvana Parisi, presidente dell’Associazione Puericultrici italiane – la figura della puericultrice ancora oggi non ha ottenuto il giusto riconoscimento».

Una insufficienza di regole specifiche che per Silvia Parisi espone questa figura professionale ad un serio “rischio estinzione”. «Se un tempo le puericultrici lavoravano sia in ambito ludico che sanitario, ovvero sia negli asili nido che negli ospedali, oggi – ha continuato la presidente dell’associazione Puericultrici italiane – non resta che la possibilità di lavoro autonomo, fornendo assistenza domiciliare». Dal punto di vista ludico, la figura della puericultrice è stata messa da parte dai corsi di laurea che preparano specificamente all’insegnamento. In ambito sanitario, invece, qualche puericultrice ancora resiste, soprattutto quelle più anziane, che hanno ottenuto il posto di lavoro superando concorsi pubblici indetti molti anni fa. Concorsi che ormai non esistono più. Le aziende ospedaliere preferiscono assumere infermieri e operatori socio-sanitari, per la loro maggiore flessibilità lavorativa nei vari reparti ospedalieri. Assumere una puericultrice che dovrà prestare servizio nel medesimo reparto per tutta la durata della sua carriera non favorisce l’ottimizzazione del lavoro, meccanismo fondamentale in tempi di continui tagli alle risorse come quello che stiamo vivendo».

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Ma quali sono le mansioni specifiche di una puericultrice, quei compiti che rendono unico il suo ruolo? «La puericultrice – ha spiegato Silvana Parsi – è una figura socio-sanitaria che si occupa dell’assistenza dei bambini, dalla loro nascita, fino al compimento dei 3 anni. Assistono le neo mamme nelle faccende pratiche, insegnando come lavare il bambino, tenerlo in braccio o attaccarlo a seno, come decifrare i messaggi che si nascondono dietro ogni tipo di pianto. Il tutto sostenuto da un supporto emotivo molto significativo».

Competenze specifiche acquisite attraverso un percorso di studio ad hoc: «Per conseguire la qualifica di puericultrice – ha detto la presidente Parisi – è necessario frequentare una scuola di formazione della durata di un anno e poi sostenere l’esame di Stato dinanzi ad una commissione ministeriale. Un tempo era possibile accedere a questo percorso di studi dopo aver compiuto 16 anni, oggi è necessario conseguire la maturità».

Un percorso formativo, dunque, che al di là della possibilità di accesso innalzata a 18 anni dopo il conseguimento di un diploma, è rimasto fermo al secolo scorso, lasciando l’Italia molto indietro rispetto ad altri Paesi europei: «In Francia, nel nord Europa – ha commentato Silvia Parisi – sono stati istituiti dei corsi triennali e quinquennali, paragonabili alle nostre lauree di primo e secondo livello, che formano le puericultrici. Vorremmo che l’Italia potesse imitare questi esempi virtuosi equiparando, da un lato, con esami abilitanti le vecchie puericultrici con esperienze trentennali, a professionalità come quelle degli infermieri pediatrici. E che, dall’altro, istituisse un percorso di laurea ad hoc per le nuove leve».

Una mancanza di chiarezza e riconoscimento che, di anno in anno, scoraggia i più giovani ad affacciarsi a questa professione: «Anche se non è possibile fare una stima precisa, proprio per l’assenza di obbligo di iscrizione ad un albo professionale, le puericultrici in Italia dovrebbero raggiungere le 17 mila unità, prevalentemente donne. Ogni anno si formano circa 40 nuove professioniste, un numero in netta diminuzione rispetto al passato. Quando io ho frequentato il corso di specializzazione, negli anni ’80, le scuole ne sformavano più di un centinaio all’anno. E, soprattutto, non si finiva nemmeno la formazione che già arrivano le prime proposte di lavoro in scuole e ospedali, sia per concorso, che per chiamata diretta.  La richiesta era altissima».

Le difficoltà di accesso attuali al mondo del lavoro, però, non devono scoraggiare chi desidera lavorare nel settore. Per Silvana Parisi la puericultrice è oggi necessaria come lo era ottant’anni fa: «Le mamme moderne hanno bisogno di aiuto ora più di allora. Se un tempo – ha spiegato la presiedete delle puericultrici italiane – esistevano le famiglie allargate in cui nonne e zie aiutavano le neomamme, oggi le donne sono sempre più sole. Trasferitesi in altre città per motivi lavorativi, dopo il parto, hanno difficilmente il conforto dei familiari. Si ritrovano isolate, senza un aiuto, a gestire un momento così importante della propria vita. Ed ecco allora la necessità di avere accanto una puericultrice, non tanto negli ospedali e nelle cliniche, quanto a domicilio, durante i primi giorni dopo il parto. Un supporto pratico ed emotivo ad una donna che da figlia diventa mamma. E questo dovrebbe essere un diritto per tutte e non solo per coloro che possono mettere mano al portafoglio. Un supporto finanziato o almeno cofinanziato dallo Stato, che segua il modello francese».

E cosa accadrà se sia il mondo della formazione che quello professionale non dovessero adeguarsi a questo cambiamento sociale, ammodernando la figura della puericultrice? «Resterà un vuoto, ma non per molto. Verrà man mano riempito da nuove figure prive di competenze, formatesi seguendo corsi di poche settimane, senza alcun riconoscimento istituzionale. E, purtroppo – ha concluso Parisi – solo a discapito delle neomamme e dei loro piccoli».

 

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