Salute 27 Maggio 2019 13:03

Infezioni ospedaliere, Italia fanalino di coda in Europa. Ma con le ‘buone pratiche’ è possibile ridurle del 30%

Al Senato convegno con focus sul problema, gravissimo, dei decessi per ICA: secondo i dati dell’ECDC nel nostro paese sono stati 7800 nel 2018. Cassini (OMS): «Si prescrivono troppi antibiotici a largo spettro». Il caso virtuoso dell’Emilia Romagna

Infezioni ospedaliere, Italia fanalino di coda in Europa. Ma con le ‘buone pratiche’ è possibile ridurle del 30%

Italia fanalino di cosa in Europa, insieme alla Grecia, per le morti da infezioni ospedaliere. Sono 8mila le vittime su un totale di 30mila in Europa. Un dato che fa riflettere gli addetti ai lavori e su cui si è ragionato al convegno “Focus sulle prevenzioni delle infezioni ospedaliere” organizzato da Motore Sanità presso la Biblioteca del Senato con il patrocinio di Senato della Repubblica, della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, della Fimmg, dell’Istituto superiore di sanità e della Sifo. Tra i relatori il Vice Segretario della Fimmg Pierluigi Bartoletti e il Direttore Ufficio III della Direzione Comunicazione e Informazione del Ministero della Salute Mariella Mainolfi, il presidente della Commissione Sanità del Senato, Pierpaolo Sileri. 

Un fenomeno contro il quale i rappresentanti di politica, sanità e aziende hanno dato vita ad un’alleanza che punta a ridurre i casi del 30% attraverso il documento programmatico messo a punto per l’occasione.

Secondo i dati forniti dall’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc), le infezioni ospedaliere hanno causato lo scorso anno in Italia 7.800 decessi e una probabilità di contrarre infezioni durante un ricovero ospedaliero del 6%: in pratica 530mila casi ogni anno. Dati che pongono il nostro Paese all’ultimo posto in Europa. Sorveglianza e controllo sono le due parole chiave del documento insieme all’attuazione delle ‘buone pratiche’ ovvero l’adozione di alcuni semplici ma fondamentali passaggi. A partire dalla più nota pratica del lavaggio delle mani, ma non solo. Si auspica che vengano rinforzati il sistema di prevenzione lungo tutto il percorso assistenziale, partendo da una sicura e certificata sterilizzazione dello strumentario chirurgico, ad un’ottima preparazione del campo operatorio e sistemi di barriera, al riscaldamento del paziente durante un’operazione chirurgica, all’uso di medicazioni in grado di tenere sotto controllo eventuali infezioni dovute all’accesso venoso attraverso il catetere.

«Quello che abbiamo stimato è che dal 2007 al 2015 il numero di morti in Italia è aumentato di più di 3 volte, mentre in Europa è aumentato di 2,5 volte – spiega a Sanità Informazione Alessandro Cassini, Infection Prevention and Control Global Unit OMS – La crescita del numero e della severità delle infezioni con batteri resistenti agli antibiotici è molto maggiore in Italia. Ci sono tante cose da fare, l’Italia ha già pubblicato il Piano nazionale per il contrasto all’antibiotico-resistenza nel 2017. Adesso si tratta di fare in modo che l’implementazione sia efficace e omogenea in tutto il Paese e non solo in alcune isole felici. Si tratta anche di monitorare la situazione, quindi vedere se poi si sono raggiunti quegli obiettivi che ci si era posti».

«Il problema è di sistema e non solamente di un ospedale o dei medici – continua Cassini – Si prescrivono tantissimi antibiotici, soprattutto negli ospedali, a largo spettro e ad esempio negli ospedali italiani all’incirca il 40% dei pazienti hanno una prescrizione antibiotica: in paesi come l’Olanda o quelli scandinavi solamente il 20% dei pazienti prende un antibiotico quando è in ospedale. Quindi il consumo di antibiotici a largo spettro è uno dei motivi principali. L’altro motivo principale è la gestione dell’infezione correlate all’assistenza. Quindi quelle infezioni ospedaliere che si prendono quando si è in ospedale. Questo è uno dei motivi della diffusione di queste infezioni, in modo particolare delle infezioni con batteri resistenti agli antibiotici».

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Tuttavia anche in Italia esistono casi virtuosi come quello dell’Emilia Romagna che, da 20 anni, ha attivato interventi per contrastare le infezioni correlate all’assistenza (ICA) vede i casi in diminuzione e del Veneto che è in prima linea grazie a un programma elettronico per mantenere sotto controllo le infezioni antibiotico-resistenti.

«In Emilia Romagna abbiamo un piano sulle infezioni ospedaliere che viene molto da lontano, sono 20 anni che lavoriamo su questo anche in assenza di indicazioni nazionali  – spiega al nostro giornale Maria Luisa Moro, Direttore Agenzia sanitaria e sociale regionale Emilia Romagna – Il piano ha varie componenti: abbiamo dato degli indirizzi alle aziende su come comportarsi, monitoraggio annuale su ciò che le aziende fanno, sistemi di sorveglianza che coprono sia le resistenze che le infezioni, comunicazioni, campagne annuali per i cittadini, formazione per tutti gli attori coinvolti da quelli che hanno responsabilità fino alla formazione a distanza, network professionale per cui lavoriamo molto insieme con tutti gli operatori per cui le cose non funzionano e campagne multimodali su temi che ci sembrano rilevanti. Ad esempio, igiene delle mani a livello regionale: nel 2010 avevamo un consumo di 5 litri per mille giornate di degenza, adesso siamo a 26. Lo standard OMS è 20. Per cui è stato ampiamento superato in tutte le aziende della regione. Ci stiamo confrontando con le altre regioni nei tavoli interregionali di implementazione del piano nazionale di contrasto all’antibiotico-resistenza con l’idea di provare a trasferire buone partiche che hanno funzionato in alcune regioni, in quelle in cui questo non è avvenuto. Il fatto che questo piano non abbia risorse è un problema, soprattutto per le regioni che sono indietro».

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