Salute 14 Dicembre 2020 11:00

Farmaci orfani, question time con gli esperti: novità in arrivo, modelli virtuosi e l’impatto della pandemia

Dalle criticità agli esempi da seguire, viaggio nel mondo dei farmaci orfani con le interviste a Giulio D’Alfonso, Laura Crippa e Cecilia Berni

Il 4° Rapporto Ossfor, presentato nei giorni scorsi, ha evidenziato in generale un trend positivo dei farmaci orfani per quanto riguarda la ricerca e l’accessibilità. Tuttavia permangono delle criticità sulle tempistiche e, ad ataviche problematiche, rischiano di sommarsene di nuove complice l’effetto della pandemia. Abbiamo esaminato i principali aspetti della questione chiedendo, sui vari punti, i pareri autorevoli degli esperti del settore.

La buona notizia: nuovi farmaci in dirittura d’arrivo

Insieme al dottor Giulio D’Alfonso, fondatore e presidente di sperimentazionicliniche.it, abbiamo scoperto cosa bolle in pentola per quanto riguarda la ricerca ed il contributo dell’Italia sulla materia a livello globale. «È imminente l’arrivo di ventidue nuovi farmaci orfani – afferma D’Alfonso – le cui destinazioni terapeutiche coprono diciannove patologie, la maggior parte delle quali neoplastiche ed ematologiche. Sicuramente possiamo dire che il ventaglio di offerta si è ampliato rispetto all’anno precedente. Da una comparazione tra la ricerca attiva a livello nazionale e quella internazionale – continua D’Alfonso – è poi emerso che la rappresentatività italiana nelle varie fasi della ricerca (fase 1, fase 2 e fase 3) è maggiore sulla fase 3: partecipiamo infatti a ben metà degli studi a livello mondiale in fase 3. Nelle fasi 1 e 2 invece – osserva – più della metà della ricerca a livello mondiale viene condotto da realtà che non fanno parte delle aziende farmaceutiche, come enti no-profit, università, finanziate ad esempio dallo statunitense National Institutes of Health (NIH). Questo è un aspetto che in Italia ancora manca».

L’emergenza Covid e l’impatto sulla ricerca

Ancora D’Alfonso interviene a spiegare in che modo la pandemia sta incidendo sulle sperimentazioni. «L’emergenza Covid ha acceso i riflettori sulla ricerca farmaceutica in generale, e ovviamente anche su quella che riguarda i farmaci orfani. Purtroppo – osserva – sono stati chiusi diversi studi clinici, altri hanno rallentato, proprio per la difficoltà a raggiungere le realtà ospedaliere che come è noto sono state in larga parte declinate all’assistenza Covid. Per valutare il reale impatto della pandemia sulle sperimentazione – conclude D’Alfonso – abbiamo in progetto uno studio ad hoc nei primi mesi del 2021 per comparare l’andamento del 2020 con gli anni precedenti».

Le tempistiche e le procedure: quel trait d’union che ancora manca

Un altro punto cardine relativo al mondo dei farmaci orfani è rappresentato, oltre che dalla loro accessibilità, dalle tempistiche e dalle procedure di approvazione. Le due cose sono strettamente correlate: non ha senso modificare le prime senza intervenire sulle seconde. Ce ne parla nel dettaglio la dottoressa Laura Crippa, General Manager di Rareg: «Il Decreto Balduzzi ha avuto il merito di definire tempistiche più rapide per i farmaci orfani. Il problema è che non ha contestualmente modificato le procedure. Il farmaco orfano – spiega Crippa – deve quindi comunque passare per vari step per essere approvato. Il tempo medio è di 250 giorni, siamo quindi ancora lontani dai 100 giorni stabiliti dal decreto. Il punto non è solo dare una tempistica, ma stabilire procedure che consentano di rispettare quella stessa tempistica».

Uno step importantissimo nella valutazione di un farmaco è il cosiddetto “premio all’innovazione”. Sui farmaci orfani, tuttavia, questo processo non è solo importante, ma «doveroso»: «Si tratta di un processo – spiega la dottoressa Crippa – che viene effettuato su richiesta dell’azienda (ed è quindi facoltativo) con cui la Commissione Tecnico Scientifica dell’AIFA valuta alcuni aspetti di un farmaco. Il primo è il bisogno terapeutico, per definire la quantità di farmaco di cui si necessita e le eventuali alternative ad esso; il secondo è il “valore terapeutico aggiunto”, quindi il beneficio maggiore apportato da questo farmaco rispetto al suo non utilizzo; il terzo riguarda “la qualità delle prove”, quindi una valutazione qualitativa degli studi fatti su quel farmaco. Sui farmaci orfani questa valutazione dovrebbe essere doverosa – osserva Crippa – dal momento che il farmaco orfano va per sua natura a soddisfare un bisogno terapeutico laddove non ci sono alternative. In questo senso una certa flessibilità dimostrata da AIFA nell’attribuire il criterio di innovazione è positiva, perché i tre punti indicati non sempre possono essere soddisfatti a livello puramente statistico a causa della bassa incidenza delle patologie cui questi farmaci sono destinati. In questi casi – conclude – è importante tenere conto del criterio clinico per stabilire i benefici di un farmaco orfano, cosa che AIFA tiene in conto».

Un modello virtuoso: la Regione Toscana

Abbiamo esaminato una delle realtà più virtuose sul territorio italiano nella gestione e presa in carico delle patologie, rare e non, che richiedono l’utilizzo di farmaci orfani: la Toscana. L’esperienza di questa Regione ci viene spiegata nel dettaglio dalla dottoressa Cecilia Berni, Responsabile Organizzativo Rete Malattie Rare Toscana.

«In Toscana, sulla base dei piani terapeutici redatti dai centri di riferimento, oltre a quanto previsto a livello nazionale (LEA), è garantita, sulla base del piano terapeutico dei centri della rete, la gratuità dei farmaci di fascia C – spiega Berni -, così come quella di alimenti speciali e integratori specifici per pazienti con patologie metaboliche congenite. Inoltre, per prodotti specifici indicati nei piani terapeutici per pazienti affetti da particolari patologie, anche non rare, che incorrono in rilevanti spese per ulteriori livelli di assistenza, esiste la possibilità di presentare alla propria ASL una richiesta di rimborso che viene valutata da una commissione ad hoc in base alla gravità della patologia e specificità clinica».

«Sulle malattie rare – continua – occorre considerare che c’è una grande mobilità sul territorio nazionale: in Toscana abbiamo oltre il 30% di pazienti che arrivano da fuori Regione, così come è vero che alcuni nostri residenti con determinate patologie per le quali il centro di riferimento si trovi fuori dalla Toscana, escano dalla Regione. Il problema della redazione di un piano terapeutico per un paziente che risiede in un’altra Regione – osserva Berni – è che possono presentarsi difficoltà di accesso ai farmaci, che magari in alcune Regioni non sono garantiti. In Toscana la nostra linea è di informare il paziente su questa eventualità, e credo che questo livello di comunicazione tra servizi e pazienti sia fondamentale, per consentire al cittadino di esercitare in maniera informata il proprio diritto alle cure. In Toscana abbiamo inoltre attivato il Centro di Ascolto sulle Malattie Rare – conclude – per aiutare i cittadini ad orientarsi nei servizi e assicurare al contempo una valida rete di supporto al paziente e alla sua famiglia».

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