Salute 16 Ottobre 2018 13:25

Ddl disturbi alimentari, Rizzotti (Forza Italia): «Obbligo di certificato di buona salute per indossatrici. Punizione per chi istiga alla magrezza patologica»

«In Italia ci sono 300 mila siti che inneggiano ai disturbi alimentari: vanno oscurati. Soffrono di anoressia e bulimia oltre tre milioni di persone, patologie in aumento tra i bambini maschi intorno ai 10 anni». Ai microfoni di Sanità Informazione Maria Rizzotti parla del suo ddl sui disturbi alimentari

di Isabella Faggiano

«Prevedere il reato di istigazione al suicidio per chi inneggia ai disturbi alimentari. Permettere alla polizia postale di oscurare i siti pro anoressia e bulimia. Offrire un piano di cura multidisciplinare ai pazienti di tutta Italia, senza distinzioni territoriali». È così che la senatrice Maria Rizzotti, membro della Commissione Igiene e Sanità del Senato, descrive alcuni dei punti fondamentali del disegno di legge che porta la sua firma, dedicato proprio ai disturbi del comportamento alimentare.

«Una legge – ha aggiunto la senatrice – che se fosse stata approvata quando l’ho presentata per la prima volta, dieci anni fa, sarebbe stata la prima in Europa ad aver stabilito un codice comportamentale per le agenzie di fotomodelle e indossatrici. Il testo prevede, infatti, che chiunque voglia fare questo tipo di professione debba presentare un certificato di buona salute, che mostri un giusto rapporto tra statura e peso».

Questo disegno di legge sui disturbi alimentari è un esempio di come Maria Rizzotti abbia coniugato il suo impegno politico con il suo lavoro di medico. «Sono molto sensibile a questo argomento – ha spiegato la senatrice – perché, come medico, ho avuto modo di studiare e conoscere approfonditamente queste patologie. È un fenomeno dilagante che riguarda più di tre milioni di persone. Non soltanto – ha sottolineato Rizzotti – Mentre una volta era la prima causa di morte tra le persone tra i 15 e 24 anni, con una prevalenza tra le ragazze, oggi l’età si è molto ridotta: si parla addirittura di maschi intorno ai 10 anni».

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Complice del peggioramento dell’attuale situazione è l’utilizzo di internet, sempre più diffuso non solo tra i giovanissimi ma anche tra i bambini: «Ci sono 300 mila siti in Italia pro anoressia e pro bulimia – ha spiegato Rizzotti -. Portali in cui queste malattie vengono addirittura chiamate con dei diminutivi “ana” e “mia”, come se fossero due intime amiche. Siti, dunque, “pro ana” e “pro mia”, che inneggiano ai disturbi alimentari».

Un’istigazione che per la senatrice andrebbe punita: «Chi avesse la possibilità di leggere ciò che è riportato su questi siti – ha raccontato Rizzotti – rimarrebbe inorridito.  –  Quelle parole rappresentano una vera e propria istigazione al suicidio. Per questo motivo, con il mio disegno di legge, propongo anche una modifica del codice penale, in particolare dell’art. 580 bis, che permetterebbe di punire l’istigazione al suicidio con un anno di carcere. Pena da commutare in un soggiorno obbligatorio in un luogo di cura, nel caso in cui il soggetto in questione fosse un individuo che soffre di disturbi alimentari.  Spesso, infatti – ha spiegato la senatrice –  accade che siano proprio dei malati di anoressia o di bulimia a promuovere siti del genere».

Questa modifica del codice penale produrre un duplice effetto: «Da un lato – ha commentato la senatrice – si fermerebbe la diffusione dei contenuti in rete e, dall’altro, si offrirebbe una possibilità di guarigione e di sopravvivenza a chi soffre di queste patologie. Non dimentichiamo che di anoressia si muore».

La legge amplierebbe anche il potere delle forze dell’ordine: «La polizia postale – ha detto la senatrice – senza l’approvazione di questo testo non può intervenire per far chiudere i siti “pro ana e pro mia”, soprattutto se si tratta di maggiorenni».

Se questa legge dovesse ottenere un sì definitivo anche i familiari dei pazienti potranno contare su un sostegno maggiore: «È importante dare un aiuto alle famiglie che spesso – ha spiegato la senatrice –  si trovano completamente impreparate, sia culturalmente che economicamente, a sostenere un figlio che soffre di disturbi alimentari. La cura di queste patologie richiede una multidisciplinarietà che non tutti possono permettersi ed è quindi doveroso che sia lo Stato ad occuparsene. Sappiamo, ad esempio, che al centro-sud centri specifici per la cura dei disturbi alimentari non ce ne sono. La cura deve essere un diritto universalmente diffuso e non come spesso avviene in Italia – ha concluso Rizzotti – un servizio a macchia di leopardo».

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