Salute 1 Luglio 2020 09:46

L’ingegner Vacca: «Giusto il lockdown, ma le pandemie sono sempre esistite. L’epidemia più terribile è quella dell’ignoranza»

Nel suo ultimo libro “La misura del virus” l’ingegner Roberto Vacca descrive l’equazione di Volterra, modello matematico con cui ha previsto la fine dei decessi da Covid-19 in Italia. Poi sottolinea: «Nel 1957 con l’asiatica morirono in 37 mila. L’epidemia di Covid non è una tragedia epocale»

«La gente non legge, non si informa. Purtroppo l’epidemia più terribile è quella dell’ignoranza». Abbiamo incontrato Roberto Vacca, ingegnere, matematico, divulgatore scientifico con il quale abbiamo parlato di scienza e Sars-Cov-2, oggetto della sua ultima fatica letteraria. Da decano dei divulgatori scientifici, Vacca, 93 anni e una lucidità fuori dall’ordinario, non è particolarmente soddisfatto di come l’epidemia è stata raccontata sui mezzi di comunicazione di massa. Un giudizio, il suo, che non deriva solo dalle frequenti liti tra scienziati che anche ora che l’epidemia rallenta non accennano a finire, ma dal fatto che la pandemia va “relativizzata” e riportata alle sue effettive dimensioni.

«È stata raccontata come una cosa nuova, quando non lo è – spiega Vacca -. I giovani non c’erano nel 1957, io c’ero e avevo 30 anni. Ci fu l’influenza asiatica, morirono 30 mila italiani. Oggi i decessi sono intorno a 37 mila e, secondo l’equazione differenziale di Volterra su cui ho lavorato, potrebbero essere sul punto di fermarsi. Però rendiamoci conto che 37 mila morti rappresentano la metà dell’1 per mille della popolazione. In un anno muore un po’ meno dell’1%, circa lo 0,7%. Nei tempi antichi quel numero era tre volte più grande. Morire, per quanto antipatico e noioso, è inevitabile».

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Nel suo ultimo libro “La misura del virus” (Mondadori), scritto a quattro mani con il chimico e romanziere Marco Marvaldi (autore, tra le altre cose, della serie del BarLume), Vacca offre il suo contributo alle previsioni matematiche legate all’epidemia applicando l’equazione differenziale di Volterra (fisico italiano attivo nei primi decenni del ‘900) alla pandemia da Covid-19 e disegnando, attraverso essa, la curva dei decessi in Italia per Covid-19. Si tratta, specifica Vacca, di «relazioni empiriche» che vanno monitorate, ma si basano sull’assunto che «le tendenze in corso continuino come in passato». Secondo Vacca il numero dei decessi è l’unico attendibile, mentre i contagiati e gli altri dati sono soggetti ad altre variabili difficilmente quantificabili.

«Quando uno sente la parola “equazione” pensa a una cosa molto difficile. La formula dell’equazione di Volterra – spiega Vacca – dice che la pendenza con la quale cresce il numero dei malati o il numero dei morti è proporzionale al prodotto fra il numero dei contagianti e il numero dei contagiabili. Alcuni non sono contagiabili per ragioni genetiche, non sappiamo chi sono. La cosa ragionevole è che inizialmente i contagianti sono pochi, la pendenza è bassa, cresce poco. Poi crescono i contagianti e i contagiabili sono ancora tanti. Questo prodotto, numero dei contagianti e numero dei contagiabili, diventa sempre più grande. Ad un certo punto sembra che diventi un esponenziale, pare che vada in cielo. Ma ad un tratto iniziano a mancare i contagiabili. Quelli che dovevano essere contagiati sono stati contagiati. Diventano tutti immuni? Non lo sappiamo. La risposta scientifica ancora non c’è. Poi il numero dei decessi diminuisce e la curva rimane costante, finché il numero dei morti non cresce più».

Naturalmente l’ingegnere è ben cosciente dei limiti di questi modelli matematici: «Bisogna stabilire prima quale nemico stiamo combattendo», spiega ricordando nel testo i casi virtuosi di “lockdown” del passato e criticando coloro, anche nella comunità scientifica, che hanno pensato di “lasciar fare” il virus: «La curva è stata tenuta intenzionalmente lenta e più lunga di quello che avrebbe potuto essere perché le strutture sanitarie potevano permettersi solo un numero limitato di posti», un collo di bottiglia che avrebbe potuto costare centinaia di vittime.

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«Tuttavia – spiega Vacca – non è stato giusto considerare l’epidemia come una tragedia epocale. È una cosa normale: muoiono parenti, amici, soprattutto se stavano in condizioni disastrate. Nel 1957 non si fece nessun lockdown, nessuna mascherina, le scuole furono chiuse per due settimane. Poi fecero finta di niente. Negli Stati Uniti morirono 120 mila persone, in tutto il mondo morirono oltre un milione e mezzo di persone. Oggi siamo sullo stesso livello. La ragionevole precauzione c’è stata, abbiamo fatto bene a non andare in giro e raggrupparci con altri che avrebbero potuto attaccarci la malattia. Ma teniamo presente che anche se stiamo con il contagiante e ci contagiamo, c’è oltre il 98% delle probabilità di non morire. In ogni caso bisogna stare attenti ed essere prudenti. Io non sono uscito più di casa, essendo tra le categorie a rischio. Ma non mi ha pesato affatto, non esco mai. Le mie amicizie sono in buona parte telefoniche e in altra parte sono via email. Con i miei amici negli Stati Uniti ho continuato a parlare normalmente».

Naturalmente per ragionare con i numeri bisogna fare molta attenzione ai dati che si utilizzano: «Bisogna farlo con pulizia e soprattutto bisogna andare a cercare che i numeri siano buoni – spiega l’ingegnere -. In America si dice GIGO: “garbage in, garbage out”. Se i dati originali sono immondizia quello che produrrai elaborandoli non saranno altro che immondizia. Stiamo attenti ai numeri. Guardiamoli bene».

Prima di andare via, però, non rinuncia a una stoccata delle sue, da grande divulgatore qual è: «Stia attento, non bisogna fidarsi neanche dei premi Nobel. Io per anni ho preso la vitamina C credendo che prevenisse il raffreddore, come dicevano i premi Nobel Linus Pauling e Albert Szent-Gyorgyi: un grammo al giorno e, se il raffreddore veniva lo stesso, fino a 25 grammi. Non faceva male ma, in realtà, non stroncava il raffreddore. Così dopo anni, smisi».

 

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