Salute 18 Settembre 2020 03:37

Covid-19, l’infettivologo: «Virus non è più debole, non abbassare la guardia»

Con il professor Luigi Toma, iscritto della Cisl Medici Lazio e consulente infettivologo aziendale dell’Ifo di Roma, chiariamo come stiamo convivendo con il Covid-19 oggi e come sarà il domani. Di certo, ciò che non possiamo sapere è quanto durerà questo nuovo stile di vita che abbiamo intrapreso dalla fine di febbraio di quest’anno. Professore, […]

di Vanessa Seffer, Uff. stampa Cisl Medici Lazio

Con il professor Luigi Toma, iscritto della Cisl Medici Lazio e consulente infettivologo aziendale dell’Ifo di Roma, chiariamo come stiamo convivendo con il Covid-19 oggi e come sarà il domani. Di certo, ciò che non possiamo sapere è quanto durerà questo nuovo stile di vita che abbiamo intrapreso dalla fine di febbraio di quest’anno.

Professore, in Italia il Covid-19 sembra essere abbastanza sotto controllo. Ha una carica virale meno forte o no?

«Il virus non ha una carica virale meno forte. In questo periodo, soprattutto nel nostro Paese, il virus sta colpendo persone che sono più forti di prima. Come in tutte le pandemie, la prima fase è chiamata dagli inglesi “harvest”, cioè mietitura, e come tutti gli agenti microbici colpisce in maniera più grave le persone più fragili per età o per altre patologie di base. Ed è quello che è successo nei primi mesi. Attualmente questa fase di mietitura è finita, il virus continua a circolare. Non ci sono evidenze scientifiche che abbia una minor patogenicità rispetto a prima, ci sono evidenze che colpendo persone meno svantaggiate dal punto di vista dell’età e delle comorbidità delle altre patologie di base, ovviamente il tasso di letalità è più basso».

Aumentare il numero dei tamponi ci mette a rischio di un nuovo lockdown per il fatto che è più facile riscontrare più positivi al virus?

«Bisogna fare un distinguo ben preciso, perché purtroppo c’è ancora molta confusione: aumentare il numero di tamponi ci dà semplicemente la possibilità di controllare e di tracciare anche le persone asintomatiche o paucisintomatiche, cioè con pochi sintomi lievi, e in questo modo di ridurre la circolazione grave. Ma questo è a favore della non chiusura, della non eventualità di un altro lockdown. Perché più persone noi riusciamo ad identificare, tracciare e isolare, più riusciamo a ridurre la circolazione del virus».

Può spiegare con chiarezza la differenza tra un positivo al Covid e un asintomatico?

«Il positivo al Covid può essere completamente asintomatico, può essere paucisintomatico, cioè con pochi sintomi e lievi, oppure può essere sintomatico con vari livelli di gravità: dalla semplice febbricola con pochi decimi sopra i 37° e semplice mal di gola, alla polmonite bilaterale, alle disfunzioni multiorgano dei malati più gravi. Questi sono costretti ad essere ricoverati in terapia intensiva e ad essere sottoposti a cure intensive non solo dal punto di vista dell’ossigenazione, ma anche di altri farmaci che in questi mesi sono risultati utili».

È giusto abbassare un po’ la guardia o no?

«No, assolutamente no. Bisogna continuare a lavarsi bene le mani, ad indossare sempre la mascherina nei luoghi chiusi, soprattutto, ma anche nei luoghi aperti, nella misura in cui non ci siano le distanze adeguate fra le due persone. Per distanza adeguata intendo almeno un metro, meglio due, l’uno dall’altro».

Mascherine in classe per molte ore ai bambini. È corretto?

«La mascherina in classe per 5 ore ai bambini può creare dei problemi di scarsa ossigenazione, perché passa meno aria. Questo vale anche per gli adulti per la verità. Quindi la mascherina in classe sui bambini è ancora un argomento molto dibattuto per i pro e i contro. Se si riuscisse a distanziare bene i bambini in classe, si potrebbe evitare l’uso della mascherina per un periodo così prolungato, soprattutto perché i bambini tollerano evidentemente male il fatto di doverla indossare per un così lungo periodo».

Gli operatori sanitari e i medici sono tutelati o allo sbaraglio come nella prima fase?

«Attualmente medici e operatori sanitari ricevono i giusti dispositivi di protezione individuale. All’inizio è stato drammatico, non è un caso che fra medici, infermieri e operatori siano morte così tante persone».

 

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