Salute 15 Gennaio 2018 10:26

Caso Pfizer-Alzheimer e Parkinson, Spadin (Aima): «Appello alle forze politiche, non lasciate soli malati e famiglie»

Dopo la rinuncia alla ricerca sulle malattie neurodegenerative da parte del colosso farmaceutico, interviene la presidente dell’associazione dei familiari che sottolinea: «Ci sentiamo un po’ più soli ma sappiamo che tanti altri stanno portando avanti importanti studi»

di Giovanni Cedrone
Caso Pfizer-Alzheimer e Parkinson, Spadin (Aima): «Appello alle forze politiche, non lasciate soli malati e famiglie»

«In vista della campagna elettorale, faccio appello a tutte le forze politiche affinché il tema di un adeguato sostegno alle famiglie dei malati di demenza sia al centro dei programmi elettorali». E’ più combattiva che mai Patrizia Spadin, presidente dell’AIMA, l’Associazione dei Malattia di Alzheimer, non troppo preoccupata dalla notizia della rinuncia da parte del colosso Pfeizer agli investimenti nella ricerca di nuovi farmaci per il trattamento delle malattie degenerative come Alzheimer e Parkinson. Una notizia che ha destato qualche preoccupazione in ambito medico, se persino la Società Italiana di Geriatria e Gerontologia (Sigg) ha lanciato un appello «a non alzare bandiera bianca e a non abbandonare la ricerca» in materia. Anche il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin è intervenuto ipotizzando modelli di «compartecipazione alla ricerca di base da parte degli Stati per proseguire nelle costose ricerche su malattie neurodegenerative gravi ed evitare che in futuro questi costi ricadano sui cittadini con i prezzi esorbitanti di molti farmaci innovativi». Un annuncio, quello della Pfizer, che non ha demoralizzato Spadin, che a Sanità Informazione parla di risvolto positivo perché con questo annuncio «il tema dell’Alzheimer è tornato al centro del dibattito».

Spadin, vi sentite un po’ più soli dopo l’annuncio della Pfizer?

«Ci sentiamo un po’ più soli anche se anche se le dichiarazioni di quelli che oggi stanno lavorando, dell’Aifa, del professor Rossini che è a capo di una ricerca importante sovvenzionata dal Servizio pubblico, ci confortano. Sappiamo bene che le industrie farmaceutiche mirano al business, ci è stato spiegato che per una multinazionale che lascia, ce ne sono tante altre che in realtà continuano a lavorare su questo tema. Per cui il timore che ci è arrivato addosso nel momento in cui abbiamo letto la notizia, nei giorni successivi è stato, come dire, attenuato dalla conoscenza di altre notizie, di aziende che continuano a lavorare e del Servizio pubblico che si impegna in prima persona per poter portare avanti la ricerca anche in Italia. Si stanno aprendo nuovi filoni, si lavora molto sulla parte prima dei sintomi in modo da poter arrivare a colpire la malattia ancora prima che gli effetti siano visibili nel paziente. E’ chiaro che se sai che tanti stanno lavorando su questo problema la speranza ci sorregge e ti aiuta a superare le difficoltà quotidiane. Sapere che prima o poi questo problema verrà risolto è una cosa fondamentale per riuscire a sopravvivere».

A tal proposito il rapporto tra ricerca pubblica e ricerca privata quale dovrebbe essere?

«Dovrebbe essere di collaborazione, non solo all’interno di ogni paese, ma di collaborazione a livello globale. I dati di cui siamo venuti a conoscenza ci dicono che in realtà tutta Europa lavora con minimi investimenti nella ricerca, sia da parte pubblica che da parte privata. La fanno da padrone gli Stati Uniti, sia con finanziamenti pubblici che privati».

I geriatri italiani hanno fatto un appello a non abbandonare la ricerca, perché, tra le motivazioni da loro portate, sostengono che un farmaco che sembrerebbe non funzionare potrebbe invece dare risultati migliori se associato ad altre sostanze.

«Si dice anche di più, cioè che i farmaci che hanno fallito sulla fase sintomatica possano in realtà dare dei risultati, per lo meno questa è la speranza che sorregge la ricerca, nella fase prodromica. Quindi può capitare che un’azienda si ritiri perché il suo filone di ricerca è fallimentare sul lato del business. Però nel momento in cui si chiude un filone se ne aprono degli altri».

La Pfizer probabilmente è rimasta delusa dall’ultimo farmaco che non ha dato i risultati sperati.

«L’interesse comune delle famiglie e dell’industria è quello di trovare qualcosa che risolva il problema con l’obiettivo cancellare, debellare la malattia e tutte le forme di demenza, anche se è chiaro che l’azienda ha l’obiettivo di arrivare ad un farmaco che le dia un utile adeguato agli investimenti della ricerca».

Il ministro Lorenzin ha proposto che lo Stato debba essere compartecipe sui brevetti dei farmaci delle malattie degenerative.

«Se lo Stato partecipa da protagonista alla ricerca è giusto che abbia anche lui un riscontro che magari non sarà un utile economico ma genererà un risparmio sulle cure, anche perché i farmaci in previsione diventeranno sempre più costosi”.

In realtà la ricerca va avanti e nuove scoperte sono all’ordine del giorno. Se lei dovesse fare un appello, cosa direbbe ai medici, alle case farmaceutiche, a tutti coloro che lavorano nella ricerca?

«Quello di continuare a lavorare. In realtà, se volessi fare un appello non lo farei ai ricercatori in questo momento, ma lo farei al Servizio pubblico, al Ministero, ai tecnici del Ministero, l’Istituto Superiore di Sanità, l’Aifa egli altri. Il problema dell’Alzheimer, in attesa della risoluzione farmacologica, in realtà è un problema da affrontare subito. Siamo anche in campagna elettorale. E’ un appello fondamentale. Rendersi conto che la malattia dell’Alzheimer per riuscire a non avere un impatto devastante sulle famiglie ha bisogno di un welfare adeguato, di un’organizzazione dei servizi e dei sostegni alle famiglie dei malati di demenza adeguati ai bisogni. E’ una cosa che non si può più rimandare».

E’ un appello che rigiriamo a tutti i partiti politici in vista delle elezioni.

«Assolutamente. Direi che, indirettamente, è stato un successo la notizia del ritiro di Pfizer dalla ricerca, perché così si sono di nuovo accesi i riflettori sul problema demenza che normalmente viene affrontato una volta l’anno quando c’è la giornata mondiale a settembre».

Quindi lei dice che da una cosa negativa in realtà è arrivato un evento positivo, il ritorno al centro del dibattito del tema.

«Sì. Perché è una realtà che coinvolge un milione e duecento mila, un milione e trecentomila famiglie con gravi problemi ed è necessario che questo tema resti in agenda e rimanga una priorità della politica».

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