Mondo 25 Marzo 2020 14:15

Il coronavirus dilaga in Spagna. La voce dei medici italiani: «Anche qui mancano dpi e respiratori»

Preoccupano i numeri del contagio nel Paese iberico: già oltre 50mila i positivi, contagiato il 13% del personale sanitario. Il chirurgo Benedetto Ielpo: «Vedendo quello che succedeva in Italia, con qualche giorno di anticipo ho cercato di sensibilizzare tutti a restare a casa». Il gastroenterologo Oreste Lo Iacono: «Nel mio ospedale già 80 malati su 120 sono per Covid-19»

Il coronavirus dilaga in Spagna. La voce dei medici italiani: «Anche qui mancano dpi e respiratori»

«Tra poco eseguirò un intervento chirurgico su un paziente da operare d’urgenza e che è infettato dal virus. Può ben capire la tensione. Abbiamo tutte le protezioni possibili ma le paure sono tante. Quando si fa un intervento il rischio che il virus rimanga nell’aria e che ci si infetti è molto molto più alto». Le parole schiette e preoccupate arrivano da Benedetto Ielpo, uno dei tanti camici bianchi italiani che hanno scelto l’estero, nello specifico la Spagna, per svolgere la propria professione, e che racconta a Sanità Informazione cosa sta accadendo nel Paese iberico.

La Spagna sta vivendo un momento molto simile a quello italiano, ma con un ritardo di 7-10 giorni. L’aumento dei contagi è impressionante: le vittime sono oltre 3400, mentre i contagiati sfiorano quota 50mila. Una situazione allarmante che sta inevitabilmente per abbattersi su tutto il personale sanitario, con carichi di lavoro enormi e situazioni difficili da gestire. «La velocità di crescita dell’epidemia è molto simile all’Italia: i casi che si duplicano giorno per giorno hanno la stessa velocità di quella italiana – racconta Ielpo, chirurgo generale che lavora all’Hospital de Leòn, nella regione di Castilla y Leòn -. Anche qui c’è stress tra gli operatori. L’unica cosa positiva è che c’è stata la possibilità di anticipare un po’ i tempi di chiusura rispetto all’Italia, anche se di pochissimo. In Italia hanno chiuso prima alcune zone, alcune regioni e poi il resto del Paese, qua invece c’è stata subito la chiusura semi-totale di tutta la nazione. Hanno chiuso in anticipo le scuole e questo potrebbe aiutarci».

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«Non siamo come in Lombardia ma ci stiamo arrivando», racconta invece Oreste Lo Iacono, primario di Gastroenterologia dell’Hospital Universitario del Tajo, nella regione di Madrid, al momento la più colpita dall’epidemia. «La Spagna – racconta Lo Iacono – ha una percentuale di personale sanitario contagiato più alta di quella registrata in Cina e in Italia. Stiamo al livello del 13%. Questa è una cosa che probabilmente nei prossimi giorni potrà dare problemi nel riuscire a coprire i turni. Già non si rispettano più le specializzazioni, le aree sono chiuse, tutto il personale è a disposizione delle direzioni sanitarie per essere utilizzato dove c’è necessità. Non c’è più il gastroenterologo, l’allergologo: tutti facciamo parte di un pool».

L’Hospital Universitario del Tajo è un piccolo ospedale: su 120 posti letto, già 80 sono occupati da malati Covid. «Il rischio di contagio è alto – spiega Lo Iacono – . C’è una zona di rianimazione che è solo Covid, così come una zona di ospedalizzazione. Abbiamo separato le zone dell’ospedale cercando di ottimizzare anche l’uso del materiale. Per entrare in queste zone c’è una stanza igienizzata e dopo, per l’uscita, una ‘sporca’ in modo tale da poter utilizzare solo un completo di dotazione personale di isolamento, senza necessità di doverlo consumare per ogni stanza e per ogni malato. Si cambia solo il guanto e una parte del camice».

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Ielpo ha cercato di allertare gli spagnoli attraverso i tanti gruppi Facebook di cui è animatore: il nostro motto “Restate a casa” è stato convertito nello spagnolo “Quedate en casa”. «Avendo visto quello che stava accadendo in Italia ho cercato di portare le informazioni il prima possibile – ha spiegato il chirurgo originario di Maratea, in Basilicata -. Quando ho visto che la cosa più importante era rimanere a casa, nei vari gruppi Facebook che gestisco ho cercato di veicolare la necessità di questa prescrizione». Ielpo è, tra le altre cose, socio fondatore del gruppo ACIE, Associazione chirurghi italiani in Europa, che ha come scopo quello di aiutare i chirurghi italiani, gli studenti, gli specializzandi che vogliono andare all’estero, oltre che di un gruppo di “training chirurgico in Spagna”, con quasi mille iscritti, in cui ci sono italiani che vogliono venire in Spagna a completare la formazione in chirurgia.

Desta preoccupazione la situazione di Madrid, la cui regione è la “Lombardia di Spagna”. La comunità di Madrid ha il triste primato nell’espansione del contagio e del numero di morti, seguita dalla Catalogna e dai Paesi Baschi. A Madrid si è abilitato il Palacio del Hielo per accogliere le salme, dopo che i servizi funebri della capitale hanno annunciato di non poterlo fare più, mentre alla Fiera si sta allestendo un grande ospedale da campo. «Hanno allestito nella zona della fiera di Madrid un’area con centinaia di posti montata dalla Protezione civile. Stanno creando queste aree soprattutto per i prossimi 15 giorni – racconta Lo Iacono – quando gli ospedali saranno ultrasaturi, per poter drenare tutti i pazienti che non hanno necessità di una assistenza ospedaliera stretta, pazienti che non possono essere dimessi ma che hanno un basso rischio di complicazione e che hanno sintomi che possono essere controllati. Ogni ospedale avrà uno o due alberghi di riferimento per poter drenare lì i pazienti».

Anche in Spagna, come in Italia, inizia a farsi sentire la mancanza di dispositivi di protezione individuali. «Dispositivi ce ne sono pochi, ma non siamo ancor a quota zero – racconta Lo Iacono -. Non ci sono praticamente più le uniformi di protezione individuale. Per cui si adattano altri tipi di camice, sempre impermeabili, con un secondo camice di plastica sopra per cercare di ridurre al minimo i rischi dei colleghi più esposti. C’è poi il problema dei respiratori. So che dovrebbero arrivare ed essere a disposizione al più presto».

«Non siamo eroi – sottolinea Ielpo -. Non abbiamo nessuna missione, non siamo dei ‘missionari’, facciamo questo lavoro perché abbiamo passione e perché ci piace. Però anche qui in Spagna mancano materiali, mascherine, guanti. Vogliamo semplicemente essere messi nelle condizioni di lavorare bene». Poi racconta: «Qui i cittadini non sono contenti dell’azione del governo. Alle 20 escono tutti in balcone per applaudire e cantare. Alle 21, invece, escono e parte la “cacerolada”, la protesta con le pentole che provoca tanto rumore: destinatario il Governo».

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