Lavoro 11 Settembre 2017 15:00

Deficit di Alfa 1 antitripsina, possibile causa di malattie respiratorie ed epatiche: attenzione a diagnosi

L’intervista al professor Angelo Guido Corsico, responsabile del centro di riferimento per la diagnosi e il registro del deficit ereditario di Alfa 1 antitripsina per cui a fine mese partirà una raccolta fondi per finanziare la ricerca

Cirrosi epatica e enfisema polmonare possono comparire anche se non si beve o non si fuma. Entrambe infatti possono essere causate dal deficit di Alfa 1 antitripsina, da ricercare in tutti i casi in cui l’enfisema non è spiegato dal fumo di sigaretta, soprattutto se compare in età giovanile, e quando le malattie epatiche non sono correlate a infezioni virali o all’assunzione di alcol. Per finanziare la ricerca a fine mese sul sito dell’università di Pavia www.universitiamo.eu partirà una raccolta di fondi. Per approfondire l’argomento, e in particolare la cura disponibile e l’iter diagnostico, abbiamo intervistato il professor Angelo Guido Corsico, professore associato di malattie dell’apparato respiratorio presso l’università di Pavia e responsabile del centro per la Diagnosi del Deficit ereditario di Alfa1-antitripsina di Pavia, che è stato identificato dal network europeo per le malattie rare (ERN – European Reference Network) come il laboratorio di riferimento per l’Europa occidentale.

Professore, che cos’è l’Alfa 1 antitripsina?

«L’Alfa 1 antitripsina è una proteina prodotta dal fegato che ha un’attività anti proteasica, cioè difende il nostro organismo, e in particolare il polmone, dalla elastasi liberata dai neutrofili nel corso di eventi infiammatori. La produzione di questa proteina è regolata geneticamente e quindi il deficit è trasmissibile: la trasmissione è di tipo codominante, il che vuol dire che i soggetti possono essere omozigoti o eterozigoti per gli alleli che determinano la produzione della proteina».

Quando si può parlare di deficit?

«In genere quando la proteina è al di sotto dei 110 milligrammi per decilitro, ma è grave quando la proteina è presente nel sangue al di sotto dei 50 milligrammi per decilitro. Il deficit grave è associato a malattie polmonari, in particolare a enfisema polmonare. Il polmone è infatti l’organo che risente maggiormente della mancanza di questa proteina, in quanto esposto all’azione di agenti infiammatori che possono essere in particolare imputabili al fumo di sigaretta o altre esposizioni inquinanti, oltre che a infezioni respiratorie croniche. Tuttavia chi ha valori estremamente bassi o assenti di questa proteina è a rischio di sviluppare enfisema polmonare anche non fumando. Certo, l’enfisema non è esclusivamente causato dal deficit di Alfa 1 antitripsina: può essere presente anche in soggetti fumatori indipendentemente da questo deficit. Ma se la manifestazione compare in età giovanile è molto probabile che sia legata al deficit».

Questo deficit interessa solo il polmone o anche altri organi?

«Anche il fegato può essere interessato dal deficit, perché in alcune varianti la proteina non è liberata nel sangue ma si accumula causando cirrosi o insufficienza epatica».

E anche in questi casi i soggetti con deficit di Alfa 1 antitripsina possono sviluppare queste malattie senza effetti esterni, quindi ad esempio senza assumere alcol? 

«Esattamente, anche senza l’alcol. Diciamo generalmente che se l’enfisema, soprattutto in età giovanile o le malattie epatiche non sono spiegate da fumo di sigaretta, infezioni virali o assunzione di alcol, deve essere cercato il deficit di Alfa 1 antitripsina».

Quali sono le analisi da prescrivere nel caso in cui sorga il dubbio dell’insufficiente presenza della proteina?

«Il modo più semplice è quello di dosare la proteina nel sangue associando anche il dosaggio della proteina C-reattiva: i valori infatti tendono ad aumentare nel corso di eventi infiammatori acuti che potrebbero impedire l’individuazione di alcuni soggetti deficitari; il dosaggio della proteina C-reattiva invece ci consente di capire se il prelievo è stato fatto in un momento opportuno, in assenza quindi di infiammazioni, o se deve essere ripetuto. Il dosaggio nella proteina del sangue costa molto poco e può essere fatto da qualsiasi laboratorio. Se il dosaggio della Alfa 1 antitripsina circolante nel sangue risulta al di sotto dei 110 milligrammi per decilitro bisogna fare i test di secondo livello che comprendono valutazioni genetiche più sofisticate e più costose: è necessario infatti inquadrare completamente la diagnosi e quindi ricercare la presenza degli alleli S o Z invece che l’allele M che è quello normale. L’iter diagnositco quindi è abbastanza complesso, perché prevede la fenotipizzazione, la genotipizzazione e eventualmente il sequenziamento di tutto il gene. Questo purtroppo fa sì che molti soggetti non vengano diagnosticati: in Italia si ritiene che ci sia un ritardo diagnostico di almeno 8-9 anni rispetto a quanto sarebbe possibile fare se la diagnosi fosse più tempestiva. Tuttavia il nostro centro è in grado di svolgere tutte queste analisi in modo molto semplice. Infatti è sufficiente inviarci sei gocce di  sangue lasciato essiccare su una apposita cartolina che ha alcuni speciali dischetti di carta assorbente. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito http://alfa1antitripsina.it».

Il ritardo della diagnosi può essere causato anche dalla difficoltà che i medici non specializzati in questo ambito possano riscontrare nel riconoscere il deficit, visto che i sintomi del deficit sono riferibili anche ad altre patologie?

«Il rischio di non individuare i casi legati alla malattia genetica è elevato proprio perché non vengono ricercati. Esistono infatti altre forme di BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) della quale l’enfisema è una caratteristica anatomica. Inoltre è più semplice riscontrare una malattia genetica quando interessa i bambini o i neonati, mentre per una malattia che si manifesta in età adulta è più difficile pensare a una causa genetica. Teniamo presente che il deficit colpisce in media un abitante ogni 3mila persone, però il 2% dei soggetti con BPCO, che sono veramente molti in Italia, sono interessati da questa malattia. Quindi è essenziale che tutti i soggetti che hanno una BPCO, che hanno una malattia respiratoria cronica, dovrebbero fare almeno una volta nella vita il dosaggio di questa proteina nel sangue. Il costo è bassissimo e consentirebbe di individuare un fattore di rischio esattamente come si fa con il colesterolo per le malattie cardiovascolari. Quindi per evitare questi ritardi o interpretazioni erronee dei sintomi, è fondamentale fornire queste informazioni e formazione specifica ai medici di base, l’anello che collega il paziente allo specialista, e rinnovarla ai medici specialisti».

È disponibile una cura?

«Per i deficit gravi esiste una terapia sostitutiva, che consiste nell’infusione di Alfa 1 antitripsina con cadenza settimanale in modo da ripristinare i valori normali. Se impostato per tempo, la terapia infusiva è in grado quanto meno di arrestare l’evoluzione della malattia. È una terapia permanente che però consente in molti casi di evitare o di allungare il tempo del trapianto di polmone, il vero rischio per questi malati. Un altro trattamento che è risolutivo per questa malattia è il trapianto di fegato: un fegato nuovo infatti restaura i normali valori di Alfa 1 antitripsina e questo quindi protegge anche il polmone. Per tutti coloro che hanno invece valori al di sotto della normalità, ma non così bassi da costituire una malattia grave, deve essere molto forte e molto pressante il consiglio di non fumare, di non esporsi a rischi respiratori e di fare periodicamente una valutazione della funzione respiratoria».

I soggetti con deficit possono fare attività fisica?

«Si, è consigliabile come per tutta la popolazione in genere; non c’è nessuna preclusione né una particolare indicazione».

 

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