Lavoro 24 Luglio 2019 12:28

Contratto medici, Quici (CIMO): «Ecco le insidie nascoste». E dichiara lo stato di agitazione

Il presidente del Patto per la Professione Medica (CIMO-FESMED e ANPO-ASCOTI-FIALS Medici) spiega a Sanità Informazione perché non ha firmato il contratto dei medici e dei dirigenti sanitari

di Cesare Buquicchio e Giulia Cavalcanti

«Dopo 10 anni ci aspettavamo un contratto qualitativamente decente, ma decente non è. In 48 ore ci hanno sottoposto cinque testi, e non c’è stato nemmeno il tempo di analizzarlo con tranquillità. Ci è stata messa una fretta incredibile perché era l’ultimo giorno di servizio per il presidente dell’Aran, ma si poteva aspettare il nuovo la prossima settimana e approfondire il contratto, che è pieno di insidie. Con tutte le organizzazioni sindacali, abbiamo fatto un ottimo lavoro, una dura di opera di ‘sminamento’ per disinnescare norme peggiorative per la qualità del lavoro dei medici. Ma ci siamo riusciti solo in parte. Per questo non abbiamo firmato il contratto».

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Così Guido Quici, presidente del sindacato CIMO e del Patto per la Professione Medica (CIMO-FESMED e ANPO-ASCOTI-FIALS Medici) commenta ai microfoni di Sanità Informazione la decisione di differenziarsi da tutte le altre organizzazioni sindacali e non siglare, nella notte, il contratto dei medici e dei dirigenti sanitari. Per il Patto, da questo contratto «emerge con chiarezza la penalizzazione della professione medica, in particolare di coloro che svolgono attività cliniche complesse con gravi esposizioni a problematiche di rischio clinico, nell’ambito di un contesto contrattuale tendente a omogenizzare tutte le professioni sanitarie in termini economici e di carriera». Per questo, i sindacati aderenti al Patto per la Professione medica confermano l’avvio da subito dello stato di agitazione e attiveranno nelle aziende confronti diretti con i propri iscritti per discutere il testo, mentre continuerà nei prossimi mesi «una serrata e trasparente disamina tecnica del testo per chiarire i punti critici che mettono davvero a rischio la qualità del lavoro del medico e la salute dei cittadini».

«L’incremento reale è di 130 euro lordi mensili – continua Quici entrando nel merito del testo e mostrando i calcoli che hanno portato il Patto per la Professione Medica a smentire quanto riportato dalle altre sigle sindacali, per le quali l’aumento medio di 200 euro al mese -. Poi ci sono altre risorse destinate a retribuzioni di risultato o alle guardie, trattenute sul TFS e medici condotti; ma il medico che sta in ospedale e non fa turni può arrivare al massimo a 130 euro, a cui si somma l’indennità di specialità medica, rivalutata nella cifra di 5,5 euro al mese».

«Siamo comunque orgogliosi di aver messo sul tavolo l’inserimento di un riconoscimento di 1500 euro ai giovani medici che entrano nel SSN, laddove prima non avevano nulla rispetto ad altre professioni sanitarie», aggiunge.

Inoltre, l’aspetto dell’unificazione dei fondi e le novità per le carriere: «È stato creato un fondo unico a cui i medici hanno contribuito per il 90%. Oltre al problema economico, così si crea una carriera unica. Il direttore generale potrà scegliere chi far progredire e chi no. Ed è vero che sono state introdotte l’alta e l’altissima specializzazione, ma sarà comunque il direttore generale a scegliere chi seguirà queste strade. Sono nomi messi così. Se avessero definito l’identikit e i criteri del medico di alta e altissima specialità, avrebbe avuto una sua validità, ma non lasciare la decisione al libero arbitrio».

Infine, il Patto per la Professione Medica contesta anche la normativa sul riposo: «Il riposo previsto dalla normativa europea non viene tutelato. Siamo riusciti ad evitare la pronta disponibilità per il pomeriggio e la mattina, perché le Regioni sono in affanno, non hanno personale e fanno di tutto per creare disagio a chi lavora nel SSN; ma tutto è stato rinviato alla trattativa aziendale. Il vero problema di questo contratto è che decentra gran parte degli istituti a livello regionale e aziendale, quindi non c’è una vera e propria struttura centrale uguale per tutti. È l’anticamera dell’autonomia differenziata», conclude Quici.

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